E’ morto Bruno Pesaola. Napoli piange il Petisso

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Bruno Pesaola è morto. Napoli piange il Petisso

Napoli si scopre in lutto per la morte di un suo figlio. Si perchè Bruno Pesaola, per tutti il Petisso, era nato a Buenos Aires, ma era ormai napoletano a tutti gli effetti (cittadino onorario anche dal 2009). E, a quasi 90 anni (li avrebbe compiuti il 28 luglio), aveva avuto modo di farsi conoscere da tutte le generazioni di tifosi azzurri. E tutti oggi lo piangono.

Bruno Pesaola era ricoverato al Fatebenefratelli per problemi di circolazione. Aveva 89 anni

Pesaola era ricoverato per problemi di circolazione all’ospedale Fatebenefratelli, dove è morto per un collasso cardiocircolatorio. Ex giocatore prima (240 presenze e 27 gol) e allenatore poi, il Petisso ha vinto sulla panchina del Napoli una coppa Italia (1961-62), partendo dalla serie B, record ancora oggi imbattuto, e una coppa di Lega Italo-Inglese. Ma forse il successo più grande è la salvezza della stagione 1982-83. Se il Napoli fosse retrocesso in serie B, forse Diego Armando Maradona non sarebbe mai approdato all’ombra del Vesuvio. E la storia azzurra sarebbe stata completamente diversa.

Napoli, con Bruno Pesaola, perde uno dei suoi figli prediletti. Argentino, ma napoletano dentro

E ora piace immaginarlo così, mentre sale da un azzurro all’altro. Con quella sua immancabile sigaretta tra le dita, magari l’onnipresente cappotto di un tempo e la voce un po’ roca di sempre. Ci mancherà Pesaola. Ci mancherà il suo umorismo e la battuta pronta a ogni occasione. Come quella volta in cui un giornalista, ai tempi in cui allenava il Bologna, gli disse: “Lei ci ha preso in giro, lei è venuto a Bergamo pensando che siamo stupidi, spieghi perché allora il Bologna ha giocato in difesa, al contrario di quello che lei aveva detto!”. E lui, con tutta la calma del mondo rispose: “E si vede che l’Atalanta ci ha rubato la idea”. Ciao Petisso.

 

La commovente testimonianza di Bruno Marra per Bruno Pesaola: “Una storia da raccontare per l’eternità”

Tra i ricordi e le testimonianze più belle del Petisso, in una città che dimostra ancora una volta quanto sappia amare in una maniera unica, ci piace riprendere quello del noto giornalista Bruno Marra, che forse come pochi ha saputo testimoniare il momento.

Quando parlava di se stesso diceva “Mi sento più napoletano che argentino”. E da napoletano se n’è andato oggi a 89 anni. Nato ad Avellaneda e cresciuto col mito del River Plate negli occhi, arrivò da noi nell’Italia del dopoguerra. Lo chiamavano il “Petisso” che in argentino significa “piccolino”, per la sua statura. Ma nessuno al tempo poteva mai immaginare quanto un uomo così piccolo potesse scrivere una storia tanto grande.
Di Napoli si innamorò subito, tanto da trascorrerci anche il viaggio di nozze con la adorata moglie Ornella. E cominciò la sua avventura in azzurro, prima da calciatore calciatore nell’Era del grande Monzeglio e poi da allenatore conquistando in azzurro due storiche promozioni in A e vincendo la Coppa Italia nel 1962.
Pesaola non era solo calcio, ma anche letteratura. Discuteva come un saggio, amava le parabole filosofiche. Introdusse l’eloquenza applicata al pallone con un coinvolgente gusto per l’ironia.
I suoi proverbi divennero famosissimi, le sue iperboli sono ancora nel nostro immaginario, il suo cappotto di cammello fu amuleto e simbolo del mito. Lo scudetto da tecnico lo conquistò con la Fiorentina ed ancora oggi nel riflesso dell’Arno lo ricordano come un mezzo miracolo. Ma in fondo all’anima c’è sempre stato il sogno di vincere al Napoli. Eppure il suo trionfo più grande non è scritto sugli almanacchi ma è riconosciuto dalla gente. Per una salvezza che valse quanto un tricolore, nel suo ultimo anno da allenatore. Subentrò a Giacomini nella stagione 1982/83 e tornò a sedersi in panchina al San Paolo in un disperato Napoli-Genoa. Quasi al 90esimo Ferrario andò a tirare il rigore della vita. Pesaola si voltò, non ebbe il coraggio di guardare. Stretto nel suo cappotto di cammello, baciando un crocifisso appeso al collo, col timore che troppo amore gli facesse scoppiare il cuore. Il San Paolo urlò, lui pianse di gioia. Era così il Petisso. Anche oggi che ci ha lasciato un vuoto che sembra un’immensità. Ed una storia da raccontare per l’eternità.