di Bruno Marra.
“E’ stata la Mano di Dio”. Ed effettivamente ci vuole proprio la Mano di Dio per riuscire ad arrivare alla fine di questa storia senza cedere alla tentazione di mollare tutto e dedicarsi ad altro. Perché probabilmente è stata solo la Mano di Dio che mi ha guidato in fondo a oltre 2 ore di stillicidio inenarrabile.
Non vado per il sottile, vorrei solo dare conforto e legittimità a coloro che hanno trovato pretenzioso e greve questo film e che per pudore o legittimo timore di lesa maestà non hanno avuto il coraggio di confessarlo.
Chi sostiene che questo sia un capolavoro è semplicemente un’anima candida attraversata dall’influenza messianica che reca in scia l’aura di Paolo Sorrentino.
La struttura del soggetto è autobiografica, certamente, ma declina verso una deriva di autoreferenzialità esponenziale e a tratti irritante. E’ comprensibile l’afflato del racconto intimo e familiare, finchè non assume una assordante cadenza retorica e ridondante.
La sceneggiatura è labile, traballante, lunga, lenta, riempita da continui “guizzi” e tentativi di “affreschi visionari” piazzati alla rinfusa per affermare e ribadire uno spessore autorevole e una cifra d’autore. Liddove persino la sublime maestria di Tony Servillo è offuscata dall’atmosfera velleitaria.
I personaggi sono stilizzati come in un’opera teatrale immobile, pretestuosa e soprattutto sopra le righe, come se a Napoli fossimo circondati da una serie di Freak Show a ferma permanente. Napoli, appunto. Quella che racconta Sorrentino in questo film non ne è neppure lontana parente. E’ una Napoli ovattata, dai colli di Posillipo fino ai sussulti del Vomero, permeata da un velo di borghesia indisponente. Io sono un figlio della vera Napoli degli Anni 80 e questa trasposizione non ne restituisce neppure una minima parte.
Mi fermo qui per non svelare l’effetto che fa a chi non lo ha ancora provato. Ma cercate di arrivare alla fine senza che vi appaia all’improvviso l’immagine del ragionier Fantozzi che libera il suo urlo spoetizzante dinanzi alla Corazzata Potemkin.
L’ultima scena del film è accompagnata dalla canzone “Napule è” di Pino Daniele. Ecco, a distanza di Secoli non sappiamo ancora bene cosa sia Napoli. Ma sicuramente non è questo film di Sorrentino.
Salvando, sempre, la Mano di D10S…
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