di Vincenzo Vacca.
Tra pochi giorni finirà il 2019 e, come ogni fine anno, è tempo di bilanci per l’anno che termina e di auspici per quello che inizia. Un bilancio che può essere individuale, ma anche collettivo. Se pensiamo che essere cittadini significhi anche valutare il nostro impegno nella comunità di cui facciamo parte, occorre fare anche una riflessione sulla qualità e sulla quantità del contributo dato da ognuno di noi per il benessere di tutte/i.
La libertà della quale ci avvaliamo è esercitata solo per scegliere cosa comprare per noi e i nostri figli o la utilizziamo anche per formare le nostre coscienze? Parlo di formazione, non di in-formazione. Il 2019 è stato un anno tipico della stagione storica che ci tocca vivere che si caratterizza per un apparente fenomeno di diffusa, capillare e istantanea informazione, ma, in realtà, siamo sistematicamente bombardati di notizie per le quali facciamo fatica a discernerne le cause dagli gli effetti. Questo ci infantilizza, in quanto non facciamo altro che “ruminare” una notizia per pochi giorni (spesso per poche ore) per passare repentinamente e senza alcuna elaborazione ad una altra notizia di maggiore impatto mediatico rispetto alle altre e così via senza soluzione di continuità. In questo modo ci condanniamo a vivere un eterno presente che non conosce il passato e che non ha alcuna visione del futuro.
Mi preme sottolineare questo comportamento diffuso, perché credo che l’anno che ci apprestiamo a lasciarci alle spalle, tra le sue luci e ombre, ha rappresentato, come già accennato, anche questa negativa particolarità.
Questa tendenza di massa ha facilitato la diffusione della paura per tutto ciò che non immediatamente comprendevamo, spianando la strada agli odiatori di professione. Basti pensare che per diversi mesi del 2019 non facevamo altro che discutere e dividerci sulla complessa questione dell’immigrazione. Questo problema aveva assorbito tutti gli altri, indipendentemente dalle posizioni che si assumevano.
Ecco perché all’inizio di questo articolo accennavo all’effettivo esercizio della cittadinanza, perché l’esempio che ho fatto sulle immigrazioni da’ l’esatta cifra della mancanza di formazione o di insufficienza della stessa da parte di noi cittadini. Certamente sono tante le responsabilità, ma ciò non fa venir meno le nostre che dovrebbero maggiormente essere finalizzate a comprendere quanto più profondamente i problemi che il nostro Paese di volta in volta affronta. Dobbiamo recuperare la complessità e rifiutare la semplificazione del dibattito pubblico e politico.
Ma il 2019, nella sua inevitabile contraddittorietà, ha avuto anche elementi di speranza che possono meglio sedimentarsi per il nuovo anno.
Penso al forte rilancio dell’idea di un radicale rinnovamento del nostro sviluppo economico che non può prescindere dal rispetto della natura. Lo stiamo vedendo in questi mesi come il clima sia completamente “impazzito” e questo smentisce clamorosamente tutti coloro che sostengono che le attività economiche non impattano sull’ambiente. Ma le nuove e nuovissime generazioni, a livello mondiale, reclamano fortemente una riconversione delle attività produttive. E’ una enorme questione non più rinviabile. Lo dobbiamo alle generazioni future e, a proposito di auspici per il nuovo anno, si spera che il 2020 si caratterizzi per un sostanziale cambiamento verso una economia che rispetti e valorizzi l’ambiente nel quale viviamo tutti. Naturalmente, questo comporta un radicale cambiamento delle nostre quotidiane abitudini.
Infine, come ulteriore elemento di speranza, e in controtendenza rispetto a quanto sopra evidenziato, è da annoverare, negli ultimi mesi del 2019, il manifestarsi della consapevolezza della necessità di recuperare i nostri valori di fondo, quali l’antifascismo, la Costituzione, la sobrietà nell’uso delle parole nella dialettica politica. Come è stato detto tante volte, le parole sono importanti. Le parole sono pietre. Anche al di là dell’intenzionalità di chi le pronuncia, le parole possono essere foriere di violenza fisica. Quindi, il 2020 sarebbe un bell’anno già se si smettesse di pronunciare parole offensive nei confronti di chi la pensa diversamente da noi. Occorre un nuovo stile comunicativo pubblico e privato.