Enrico Berlinguer: un esempio, non una nostalgia

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di Vincenzo Vacca.

L’11 giugno 1984, morì Enrico Berlinguer, segretario generale del Partito Comunista Italiano. Ricordo molto bene la commozione che coinvolse l’intero Paese a questa tristissima notizia. Berlinguer aveva una statura etica e politica tali da ottenere la stima e l’ affetto non solo degli iscritti e simpatizzanti del PCI. I suoi funerali non furono funerali di partito, ma i funerali che si riservano a statisti amati dal proprio popolo. Una piazza San Giovanni in Laterano piena fino all’inverosimile. Ricordo che le persone strariparono fuori anche dalla stessa piazza e milioni di italiani seguirono i funerali in televisione. È noto che persino Almirante, il segretario politico del Movimento Sociale, si recò a Botteghe Oscure per esprimere le condoglianze al partito che aveva perso il proprio carismatico leader.

La morte di Enrico Berlinguer aveva reso improvvisamente orfani un po’ tutti.

Sarebbe molto lungo raccontare la biografia e il pensiero politico sempre in evoluzione di questo uomo che ha segnato profondamente il partito, del quale divenne segretario generale nel 1972, e dell’ Italia.
Si iscrisse al Partito Comunista giovanissimo e diresse la FGCI ossia l’ organizzazione giovanile dello stesso partito.

Berlinguer divenne il massimo esponente di quella generazione del gruppo dirigente comunista che intuì la necessità inderogabile per fare uscire il Paese dalla grave crisi economica e politica di inaugurare una nuova stagione politica.

Certamente, si mise a frutto anche quanto venne sostenuto con la segreteria di Togliatti e cioè l’ importanza per una nazione come quella italiana di dialogare con il mondo cattolico, ma, con l’ avvento di Berlinguer alla segreteria, quell’ indirizzo togliattiano ebbe una accelerazione e una particolare svolta.

In quegli anni, il nostro Paese fu funestato dalle stragi neofasciste, iniziate con Piazza Fontana, e dal terrorismo rosso. Complessivamente, un attacco molto serio alla nostra democrazia e, quindi, si temette molto sulla capacità di tenuta dell’ assetto istituzionale democratico.

Tra stragi, attentati, violenze di ogni tipo, avrebbe potuto prendere piede una svolta autoritaria del Paese avvalendosi anche di un certo consenso in settori dell’opinione pubblica spaventata da quella situazione che si venne a creare. Non dimentichiamo che in Europa c’erano ancora delle dittature fasciste e da poco il Cile fu instaurata una sanguinisa dittatura militare che spodestò il Governo di Allende democraticamente eletto.

Inoltre, come accennato, il Paese fu colpito da una grave crisi economica e i vari Governi succedutosi non riuscirono a porre un argine al declino economico. In quegli anni l’inflazione fu a due cifre. E anche questo, naturalmente, contribuì ad aggravare la crisi democratica. Il miracolo economico degli anni sessanta venne meno ed emerse la necessità un profondo rinnovamento delle strutture economiche, una diversa programmazione economica.

Per fare tutto ciò, occorse mobilitare, coinvolgere le forze sane del Paese, rinnovando innanzitutto gli assetti governativi.

Con i famosi articoli su Rinascita, il settimanale comunista, Enrico Berlinguer lanciò la proposta del “compromesso storico”.

Su questo esiste una bibliografia sterminata e, quindi, mi limito solo a dire che quel progetto politico aveva proposto l’alleanza delle forze comuniste, socialiste, laiche e cattoliche al fine di raggiungere una intesa volta a uscire dalla crisi drammatica che a grandi linee ho provato a indicare.
A questo proposito, si prese a modello l’esperienza storica dell’ Assemblea Costituente nel cui seno fecero parte forze democratiche diverse, spesso contrapposte, ma nonostante ciò, si riuscì a sottoscrivere insieme la Costituzione e questa operazione consentì al Paese, non senza contraddizioni, di ricostruire il tessuto economico e sociale che erano andati distrutti con la guerra.
Ci furono tanti motivi che convinsero Berlinguer a fare quel tipo di proposta. Vorrei sottolineare una e cioè che Berlinguer, come anche Moro, si preoccupò di non spaventare i settori moderati del Paese. Settori che potevano saldarsi con quelli reazionarie e rappresentare una base di appoggio per una svolta autoritaria.

In quel momento storico, un Governo delle sole sinistre avrebbe potuto provocare quel tipo di situazione.

Non dimentichiamo che il mondo era ancora diviso in blocchi contrapposti e un Governo italiano a guida social comunista nello schieramento atlantico non sarebbe mai stato tollerato.

Da qui l’idea di arrivare a un Governo di cui facessero parte tutte le forze democratiche, facendo venire meno la pregiudiziale comunista.
Una proposta politica non estemporanea, ma elaborata dal proponente e discussa all’interno del Partito Comunista per essere rilanciata alla Democrazia Cristiana e al Partito Socialista.

In realtà, Berlinguer tenne più volte a precisare che non voleva essere solo una proposta di Governo, ma anche e soprattutto una sollecitazione rivolta a tutto il Paese finalizzata a promuovere un profondo coinvolgimento delle masse, oggi si direbbe dal “basso”, intorno a un progetto di forte rinnovamento.
Ricordo ancora le discussioni, a volte aspre, all’interno e all’esterno del PCI. Quest’ultimo si trovò a proporre una alleanza con quello che era stato il suo avversario storico dal dopoguerra in poi e la Democrazia Cristiana dovette fare i conti con il suo anticomunismo che spesso era invocato soprattutto per evitare riforme necessarie per l’Italia.

Come noto, il principale interlocutore di Berlinguer fu Aldo Moro che dovette vincere resistenze nazionali ed internazionali per fare accettare un Governo nella cui maggioranza parlamentare fossero presenti i comunisti.

Il giorno in cui tale Governo doveva essere votato dal Parlamento, Moro fu rapito e successivamente ucciso.

Una tragica vicenda, che dopo tanti anni, conserva ancora troppi lati oscuri per nulla chiariti nemmeno dai brigatisti. Sorge il sospetto che ci sono verità che metterebbero quanto meno in imbarazzo gli stessi ex terroristi. Confermerebbe l’assioma “destabilizzare per stabilizzare”.

Pur avendo approvato delle leggi importanti, per una serie di motivi, il Governo di solidarietà nazionale andò in crisi e i comunisti uscirono dalla maggioranza.

Questo articolo non ha alcuna pretesa di una ricostruzione storica di quegli anni, ma vuole solo evidenziare la forte capacità di elaborazione politica culturale di Enrico Berlinguer, il quale diventò il principale protagonista di una inedita innovazione dell’agire politico del PCI.
L’esaurirsi di quella stagione politica creò una situazione di stagnazione per il Paese che neanche l’attivismo di Craxi fece superare. Certo. Con il “craxismo” gli indicatori economici ebbero una impennata positiva, ma si trattò di una ripresa drogata rispetto alla quale dopo un po’ dovemmo fare amaramente i conti.

Craxi lasciò cadere la proposta dei comunisti di formare un Governo delle sinistre, lasciando all’ opposizione la Democrazia Cristiana, tenuto conto anche del fatto che i comunisti italiani ottennero una legittimazione a poter governare dopo l’esperienza della solidarietà nazionale e dopo aver dato prova di una fedeltà atlantica. Basti pensare alla famosa dichiarazione con la quale Berlinguer precisò che riteneva l’Italia più al sicuro nel patto atlantico anziché in quello di Varsavia e alla sua affermazione fatta a Mosca che la “democrazia era un valore universale”.

Berlinguer avvertì la degenerazione morale che, in misura diversa, aveva colpito tutti i partiti, ma io penso che egli fu consapevole del fatto che qualcosa di profondo era cambiato anche nella società in termini di valori o di disvalori condivisi e praticati in modo diffuso.

Quindi, lanciò un allarme in tal senso e forse presagì quello che poi successe: il tracollo dell’intero sistema dei partiti, diventati nella maggioranza dei casi, dispensatori di prebende, in quanto pensarono che con questo sistema avrebbero compensato in qualche modo la loro crisi di rappresentanza di una nazione, in termini di stratificazione sociale, fortemente modificata.
Lo dimostrava il fatto che in pochissimo tempo si passò da una ubriacatura ideologica al cosiddetto “riflusso”. Qualsiasi tipo di impegno politico si cominciò a vederlo con disincanto, derisione. L’esplosione di un individualismo ipertrofico.

Berlinguer viene ricordato con affetto e nostalgia, perché, pur essendo uomo di parte – segretario del partito comunista più forte dell’intero Occidente – nei momenti cruciali dimostrò di essere un uomo delle Istituzioni. Sono del parere che, se il PCI non si fosse schierato in prima fila contro il terrorismo rosso, la democrazia italiana non avrebbe retto. Ci fu già chi parlò di “album di famiglia”.

Penso che di Berlinguer, oltre alla sua biografia etica e politica di altissimo livello, vada ricordata, e attuata in questi tempi, la sua capacità di guardare all’interesse generale o, se vogliamo, al bene comune. Questo atteggiamento non dovrebbe riguardare solo la sfera politica, ma qualsiasi ambito pubblico.