di Anna Copertino ed Eliana Iuorio
Attilio Romanò non si trovava nel posto sbagliato, nel momento sbagliato; lo era il suo killer.
Vogliamo citare Bruno Vallefuoco, che dichiarò queste stesse parole, riferendosi a suo figlio Alberto, assassinato dalla camorra, vittima innocente come Attilio.
Una “guerra”, che non fa sconti ad alcuno.
Una “guerra” che non riguarda “soltanto loro”; le mafie, sono “cosa nostra”: quando uccidono vittime innocenti, cadute “per errore”, e quando siedono in posti di potere, dirigendo la politica e gli affari del nostro Paese.
Attilio Romanò lavorava in un negozio di telefonini a Capodimonte (una zona di Napoli), il killer (Mario Buono, per la III sez. della Corte di Assise di Napoli – in primo grado), quella sera del 24 gennaio 2005, aveva come obbiettivo il gestore, nipote di un delinquente passato nelle fila degli scissionisti. E così, per “colpire” Salvatore Pariante (il camorrista avversario di Cosimo Di Lauro), occorreva uccidere suo nipote Salvatore Luise, titolare di quel negozio.
Ma quella fredda sera di gennaio di sette anni fa, Mario Buono (un ragazzo di venti anni, al quale era stato intimato l’ordine di uccidere un altro uomo), non si interrogò più di tanto, e puntò il grilletto su un innocente, un ragazzo allegro e responsabile, spegnendo per sempre la vita ed il sorriso di un giovane uomo serio e pulito, gran lavoratore: Attilio Romanò, vittima innocente di camorra.
Nel video, il Presidente del Collegio (III sezione di Corte di Assise), Carlo Spagna, legge il dispositivo della sentenza di primo grado; siamo al Tribunale di Napoli, nel primo pomeriggio di mercoledì 2 maggio 2012