di Francesca Bruciano
Il 25 ottobre a Roma alcuni gruppi di eritrei hanno partecipato alla manifestazione per le vittime di Lampedusa davanti a Piazza Montecitorio, organizzata dal Coordinamento Eritrea Democratica. Sono giunti da tutta Europa e Italia, in centinaia, per commemorare i loro defunti caduti in mare il 3 ottobre scorso. Parenti e amici di vittime, Associazioni, Movimenti di giovani eritrei.
Alcuni di essi si sono uniti davanti alle bare di cartone poggiate a terra sopra una delle quali hanno incollato un foglio con il numero 369 per celebrare dicono “il nostro funerale alle vittime e per ricordare quante persone sono morte a Lampedusa”. A seguito di un’assemblea alcune delegazioni hanno fatto le loro richieste. Al governo perché modifichi le parti peggiori della Bossi-Fini, e che Italia ed Europa aprano un corridoio umanitario per i paesi di transito dei rifugiati e la restituzione delle salme alle famiglie. Che l’Italia si doti di una legge sull’asilo per essere al passo con gli altri paesi europei.
Richieste che hanno consegnato direttamente alla presidente della Camera Laura Boldrini, alla ministra per l’Integrazione Cecile Kyenge e al rappresentante del ministero degli Esteri. “Abbiamo chiesto anche che le ambasciate si attivino per trovare i familiari delle vittime, perché non si trovano solo in Eritrea, ma anche in molti paesi europei”, spiega Deshele Mehari, coordinatore europeo del consiglio nazionale eritreo per il cambiamento e la democrazia. Hanno chiesto al nostro paese una protezione reale, che non includa l’autorizzazione di essere spiati dal paese da cui sono fuggiti. Gli eritrei fuggono non per motivi economici ma a causa del regime vigente. “Da 23 anni l’Eritrea è una prigione, dove è impossibile vivere” spiega Simon.
Una prigione comandata da Isaias Afeworki, che dopo aver combattuto contro l’Etiopia a capo del Fronte popolare di liberazione eritreo, una volta ottenuta l’indipendenza e nominato presidente nel 1991 ha trasformato il paese in un campo militare, dove agli eritrei è permesso solo lavorare per lo Stato per un salario di 450 nakfa, meno di 10 euro al mese. Non esiste libertà individuale, niente libera impresa, niente di niente e dove bambini soldato e lavoro minorile sono regole imposte. Chiudono le scuole e i ragazzi dai 16 anni in su se non si arruolano nell’esercito vengono inseriti nel Servizio nazionale a lavorare per il regime. Un regime spietato dal quale è difficile uscire se non scappando a rischio della vita. Chi riesce a scappare va in Sudan cercando di attraversare il deserto e raggiungere la Libia. Da qui al mare Mediterraneo e se tutto va bene si arriva in Italia. Ma anche qui, quando pensi di aver raggiunto la méta ed averla avuta vinta, puoi trovare la morte, così come già accaduto.