In molti altri articoli scritti dalla nostra testata avevamo già parlato di ciò che in questi giorni sembra essere diventato, finalmente, il problema centrale nel dibattito giovanile e cioè il fenomeno secondo il quale Expo 2015 è il manifesto e l’esperienza concreta e sintomatica del fenomeno del “lavoro non pagato”. Nelle pagine introduttive al Capitale di Karl Marx ricordiamo come il filosofo politico sottolineava il fatto che il lavoro per essere definito tale doveva essere salariato, pagato. In base a ciò tutte le forme di produzione umana della ricchezza che non rientrano nel lavoro retribuito non è lavoro; siamo ancora sicuri che nel mercato globale non esista il lavoro non pagato? O meglio, come il discorso marxiano può essere nuovamente incisivo su una realtà produttiva che si sostiene anche, e soprattutto, su questo “nuovo” genere di lavoro?
Nel luglio 2013 l’Ente Expo 2015 sottoscrisse con l’assenso del sindacalismo organizzato maggioritario (CGIL, CISL e UIL) un accordo in base al quale su uno zoccolo duro di 800 posti di lavoro precario e mini-job, pagato a 400/500 euro al mese con contratti effimeri /tra cui quelli a termine, quelli di apprendistato e quelli stage, sarebbero stati previsti 19.200 posti di lavoro non pagati, non salariati, e mascherati da una categoria oltremodo irritante come quella del “lavoro volontario”. Inoltre saranno assunti solo i lavoratori volontari che si accolleranno le spese per il proprio posto letto e dei costi di trasporto.
All’esperimento del patto Expo 2015 è seguito poi il Job’s Act, la sua convalida giuridica e istituzionale, e, addirittura, la beffa dell’inaugurazione dell’Esposizione Universale il giorno stesso della Festa dei lavoratori (o meglio del lavoro salariato emancipato). Il 1 maggio di emancipazione ve ne sarà solo una e cioè quella del capitalismo dal lavoro pagato, da qualsiasi vincolo statuale a tutela dei lavoratori.
Una parte degli investimenti per Expo 2015 sono stati utilizzati non per ridistribuire la ricchezza in favore di chi vive solo del proprio lavoro, ma solo per la speculazione edilizia; un’altra parte per corrompere tutti quei soggetti chiamati a rendere possibile il lavoro non salariato. In base a ciò l’Expo 2015 non parlerà di come nutrire il pianeta in maniera sostenibile per il globo e i popoli che lo abitano, ma di come, ad esempio, Multinazionali (un caso per tutti Nestlé) lo affameranno più abilmente.
L’Expo 2015 è il monumento al Capitalismo tecnocratico per la spoliticizzazione delle masse e per l’emancipazione del capitalismo globale dalle sovranità popolari e statuali. Quale altro palcoscenico può essere migliore dell’Italia, una Repubblica parlamentare fondata sul lavoro, per un evento che imprigiona il lavoro nelle maglie dello sfruttamento, della schiavitù volontaria al capitale, dell’oppressione del lavoro precario e non pagato. L’Europa dell’Expo 2015 è la risposta storica e concreta al socialismo rivoluzionario del XX secolo e l’immagine più alta della morte dei popoli nella tomba del libero mercato globale.
Gli avanzi che erano stati gettati ai lavoratori con la legge Fornero si sono come dissolti davanti a quel principio di deroga normativa tanto discusso dalla CGIL. 800 lavoratori precari e 19.200 lavoratori non pagati sono l’espressione più vera della crisi di un sistema globale a totale vantaggio del capitale e a svantaggio dei popoli.
Circa la metà dei 19.200 lavoratori non pagati selezionati nei colloqui in tutta Italia sembra però non presterà servizio, non perché non vorranno, ma in quanto il lavoro prestato gratuitamente non sarà esente da costi fissi (che sono tutti a carico del lavoratore non pagato). Gli alti costi dell’Esposizione universale hanno azzerato gli investimenti per i salari del lavoro a termine e, sulla base di un bombardamento ideologico delle masse e di una svolta autoritaria del governo, realizzato il sogno del capitalismo europeo (auto-valorizzare i capitali facendo lavorare le masse senza pagarle).
Il lavoro precario o flessibile ha dato vita a ciò che nel secolo appena trascorso non era possibile nemmeno immaginare e cioè ridurre in una schiavitù volontaria i lavoratori. Tutte le forze politiche presenti in parlamento, pro e contro il governo Renzi, partecipano alla rottamazione del precedente sistema sociale italiano ed europeo, e con ciò alla totale distruzione della Carta costituzionale.
L’Expo dal 1 maggio al 31 ottobre di quest’anno, nel caso in cui le masse rimarranno addormentate e giubilanti per la loro schiavitù, finirà per essere la vetrina mediatica del modello di sviluppo capitalistico italiano ed europeo nel mondo per gli anni a venire. Sotto lo slogan “Nutrire il pianeta” si penserà a nutrire solo il capitalismo globale, affamando non solo più ampie fasce di popolazioni mondiali ma spazzando via secoli di conquiste sociali e di lotta critica. Il 1 maggio si festeggerà non l’emancipazione del lavoro ma la sua schiavitù; pena l’arresto di massa.
Nel frattempo il primo ministro non eletto (tecnico), Matteo Renzi, avverte chiunque sogni di protestare concretamente, armi alla mano, contro questo stato di cose e la “Milano da bere”, verrà ricambiato da durissime forme di coercizione, verrà arrestato o represso con tutte le forme possibili a disposizione di un governo tecnico. Quello di Renzi è allora un ultimatum di guerra contro i lavoratori?
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