Federconsumatori Campania ha, da lungo tempo, evidenziato il fatto che il sistema di riparto attuale, paradossalmente, assicura meno risorse proprio alle regioni che più ne avrebbero bisogno, in particolare quelle meridionali. Si fa riferimento al contestato criterio della consistenza numerica della popolazione “corretta” per anzianità, in base al quale le regioni che risultano in proporzione “più giovani”, ricevono, minori risorse.
Apprendiamo ora che nel riconoscere, con gravissimo ritardo,l’indice di deprivazione sociale, e quindi un fabbisogno sanitario sin qui negato, nel contempo se ne annulla l’effetto, incrementando il “peso” dell’indice d’anzianità. Criteri tecnici utili alla determinazione del fabbisogno sanitario vengano ancora una volta manifestamente piegati a beceri interessi politici regionalistici. Del pari deplorevole è che l’indispensabile intesa tra tutte le regioni, prevista dalla legge 190/2014, venga strumentalmente utilizzata per tenere “in scacco” le legittime aspirazioni delle regioni più svantaggiate. S’incide così su di una funzione esclusiva dello stato: la redistribuzione equa delle risorse per il mantenimento uniforme dei livelli d’assistenza su tutto il territorio nazionale. I correttivi alla nuova “intesa” possono e devono avvenire entro il mese d’Aprile.
Per tale ragione, è stato predisposto un apposito manifesto,con l’adesione del nascente Comitato Sanità Campania e di tutte le associazioni che ne entreranno a far parte, da inviare al Presidente della Repubblica, alla Conferenza delle Regioni ed al Ministro della Salute, sui quali grava la responsabilità politica e morale del perpetuarsi di una gravissima ingiustizia,che si traduce nella mancanza di idonee risorse per il mantenimento dei Livelli Essenziali d’Assistenza.
Con il presente documento s’intende richiamare le Istituzioni tutte al rispetto di un doveroso, se non imperativo, impegno morale e politico, prima che giuridico, alla modifica dei criteri di riparto delle risorse necessarie al mantenimento del servizio sanitario nazionale.
In particolare, si rammenta, l’art. 1 comma 34 della legge 662/1996, facendo proprie acquisizioni scientifiche ampiamente note,aveva previsto che il riparto dovesse avvenire tenendo conto dei seguenti criteri: – popolazione residente;
– frequenza dei consumi sanitari per età e sesso;
– tasso di mortalità della popolazione;
– indicatori relativi a particolari situazioni territoriali utili per la
definizione di particolari bisogni sanitari; – indicatori epidemiologici territoriali.
Si tratta del recepimento legislativo di criteri la cui applicazione è indispensabile per indirizzare correttamente la spesa verso l’effettivo bisogno sanitario della popolazione.
Di essi non è stata fatta applicazione, ad eccezione di quelli relativi al numero residenti ed età.
Ma per quanto già ampiamente noto a livello scientifico, il riparto non è correttamente individuato, con l’applicazione del solo criterio della popolazione pesata per anzianità.
Sul punto si richiama “Il documento del 30 Aprile 2010 redatto dall’ AGENAS per conto della Conferenza Stato-Regioni: Riflessione sui criteri da utilizzare per il riparto del fabbisogno sanitario”, nel quale si chiarisce che “le indicazioni che si possono trarre dalla lettura integrata delle esperienze internazionali sono riassumibili nei seguenti punti:
Tutti i modelli di riparto partono dal presupposto che l‟obiettivo prioritario a cui deve tendere il processo allocativo sia il rispetto del principio di assicurare eguali risorse per eguali bisogni (equità di accesso);
Il secondo punto comune a tutti i paesi considerati è che i principali modulatori della spesa sono:
L’entità dei consumi attribuibili al bisogno viene generalmente modulata dalle seguenti variabili:
– Età;
– Sesso;
– Deprivazione sociale; – Mortalità.
Obiettivi aggiuntivi come il raggiungimento di livelli ottimali di efficienza, l’incentivazione di procedure e modalità assistenziali volte al miglioramento degli esiti dell’assistenza vengono perseguiti con strumenti diversi dalla quota capitaria pesata”.
Per tale ragione, il Patto per la Salute 2014-2016 ha riconosciuto espressamente la necessità di una revisione dei criteri di riparto tenendo conto degli indici di correzione sin qui inapplicati. La revisione avrebbe dovuto essere compiuta entro il 31 luglio 2014, impegno non rispettato.
Di grandissimo rilievo, in merito,poi il “Documento della Ragioneria di Stato sul monitoraggio della spesa sanitaria per il 2015”, nel quale la massima autorità contabile dello Stato Italiano, chiamata a valutare le prospettive d’aumento del fabbisogno sanitario in relazione all’ invecchiamento della popolazione, assume come dimostrato che “una percentuale molto elevata del totale dei consumi sanitari nell’ arco della vita di un soggetto si concentra
nell’ anno antecedente la sua morte. Ciò significa che la componente di spesa sanitaria relativa ai costi sostenuti nella fase terminale della vita (c.d. death-related costs) non risulterà significativamente condizionata dall’aumento degli anni di vita guadagnati”.
L’articolo 1, comma 601 della legge 190/2014 aveva stabilito poi che “a decorrere dall’anno 2015 i pesi sono definiti con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base dei criteri previsti dall’articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662”. L’intesa avrebbe dovuto essere raggiunta entro l’Aprile 2015, prevedendosi che, in mancanza, il vecchio criterio di pesatura si sarebbe reiterato per un altro anno.
Con tale discutibile atto normativo è stata quindi subordinata alla valutazione politica della Conferenza, la funzione perequativa che è una funzione Statale esclusiva in base all’art. 117 Cost. lett e, ed art. 119 Cost. comma 3 e 5.
Ed, infatti, se si tiene conto che lo stato contribuisce al finanziamento al netto delle entrate interne regionali, risulta evidente che il dato tecnico dei criteri di pesatura della popolazione nel riparto e nella determinazione del fabbisogno sanitario costituisce il parametro di riferimento per la redistribuzione perequativa delle risorse sul territorio nazionale.
Pur non ponendosi, nel caso del riparto del finanziamento, problemi di coordinamento con l’art.117 comma 3 della Costituzione, in tema di legislazione concorrente in materia di tutela della salute, la norma in questione pretende quindi di subordinare all’intesa in sede di Conferenza Stato Regioni la determinazione delle norme di principio in competenza esclusiva, neppure concorrente, dello Stato Centrale:la perequazione delle risorse finanziarie.
Come immaginabile, la scadenza fissata non è mai stata rispettata, non pervenendosi in sede di conferenza ad un’intesa pubblicamente promessa anche per il 2016. Nè si rinviene la fissazione di convocazioni aventi ad oggetto la fondamentale questione.
Si è consentito in tal modo che interessi regionalistici di carattere eminentemente politico abbiano influenzato ed influenzino i criteri tecnici d’individuazione del fabbisogno.
Se, invece, in sede istituzionale la questione fosse stata valutata nella sua oggettività e nella sua esclusiva dimensione tecnica, con l’unico ed esclusivo fine d’assicurare una redistribuzione delle risorse conforme al fabbisogno sanitario, a prescindere dalle ricadute politiche in ambito regionalistico, non si dubita che essa sarebbe stata già risolta, con il superamento degli attuali criteri di riparto. Come infatti segnalato nel documento Agenas, la questione va
del tutto smarcata da interessi politici espressione di un egoismo regionale e sociale, impeditivo di una più equa e razionale redistribuzione delle risorse. Ed, invece il mancato raggiungimento di un’ intesa tra le regioni, prevista dalla legge 190/2014, articolo 1, comma 601 viene sostanzialmente utilizzato per tenere “in scacco” le legittime aspirazioni delle regioni svantaggiate alla doverosa modifica dei criteri di riparto.
Si tratta di un comportamento istituzionalmente deplorevole non conforme al principio di leale collaborazione sancito dall’art.120 della Costituzione e che mina nello spirito l’art. 5 della Costituzione, circa l’unitarietà dello Stato Italiano, unitarietà prima morale e poi politica.
Mobilità sanitaria attiva e passiva e costi fissi
Anche la mobilità è giustificazione per aumenti o riduzioni delle risorse finanziarie messe a disposizione delle singole regioni. Ma la questione va vista nella sua oggettività, astraendola da fuorvianti messaggi politici e mediatici alimentati da un becero egoismo regionale.
Il sacrificio delle migliaia di cittadini meridionali costretti a recarsi al centro nord per prestazioni delle quali avrebbero diritto nella loro regione rappresenta un’ innegabile utilità economica per le regioni erogatrici delle prestazioni e per il sistema sanitario nazionale complessivo. Ed, infatti, si concentrano prestazioni specialistiche, che richiedono elevati investimenti, in pochi centri erogatori, con un evidentissimo risparmio di spesa in investimenti strutturali. Ne discende che, in tal modo, i “costi fissi di produzione”, ad usare termini economicistici impropri in un ambito di diritti della persona, vengono redistribuiti su un maggior numero di utenti con un incremento di “utile” delle aziende interessate. Manca totalmente nella valutazione dei riparti tale importante questione. Ma se a valutare il sistema sanitario in termini unitari l’assetto attuale può avere un senso ed una razionalità in termini organizzativi, indirizzando i cittadini verso centri HUB d’alta qualità,l’enorme costo sociale ed economico così imposto alla popolazione delle regioni meridionali dovrebbe essere adeguatamente riconosciuto e considerato in sede di redistribuzione delle risorse essendo evidente che una simile condizione perpetui un’ inaccettabile rendita di posizione a favore di pochi. Vale a dire che se non s’intende investire sul recupero di tali prestazioni sanitarie nel Meridione, valorizzando e sviluppando centri HUB in modo uniforme sul territorio italiano,di tanto dovrà tenersi conto in sede di redistribuzione. Quel che preme pure per tale questione è una valutazione nazionale, e non regionalistica, di prospettiva, dell’assistenza sanitaria.
Determinazione numero posti letto.
Ad aggravare la situazione va aggiunto che il Regolamento sugli Standard Ospedalieri, all’art. 1 comma 3 lett. A, pure prevede nella determinazione
numerica dei posti letto l’applicazione degli attuali criteri di riparto senza tener conto di quanto previsto dalla legge 662/1996. Ne consegue che alcune regioni rispetto ad altre non solo ricevono maggiori risorse in sede di riparto ma hanno pure un fabbisogno sanitario diversamente modulato.
*****
L’effetto pratico così conseguito, del tutto paradossale per un ordinamento giuridico che prevede un servizio sanitario a carattere universalistico, è quindi quello di aver assicurato meno risorse proprio alle aree del paese che più ne avrebbero avuto bisogno per il mantenimento dei LEA, in particolare le regioni meridionali, con un maggior numero di giovani rispetto alla popolazione ultrasessantacinquenne.
In virtù dei criteri attuali di pesatura dell’indice demografico:
Le regioni meridionali subiscono una perdita di risorse pro/capite pari ad E.
29.4.
La Regione Campania, in particolare, una perdita pro-capite di E. 65.3. (elab.dati del Ministero delle Finanze da report Istituto C.R.E.A. Sanità promosso dall’Università di Tor Vergata)
Si tratta d’importo, considerata la popolazione campana, di circa 300 milioni di euro annui solo per la Campania, senza considerare gli effetti della mobilità passiva.
Richiamato quanto innanzi espresso si vuole al riguardo sottolineare come la minore anzianità sia un fattore tutt’altro che rassicurante circa la salute della popolazione e ciò risulta tanto più evidente ove calato nell’ambito degli ulteriori indici demografici. Si consideri in particolare che i dati demografici ISTAT confermano un sostanziale abbassamento del tasso di fecondità (numero medio di figli per donna) delle regioni meridionali, in gran parte dei casi inferiore a quello medio nazionale. Pertanto se le regioni meridionali tendono ad avere un maggior numero di giovani in proporzione agli anziani, esso è da leggere quale dato patologico collegato a vari fattori tra i quali di assoluta rilevanza, il degrado del Servizio Sanitario Nazionale nel meridione.
Tutti gli studi di settore confermano oramai l’accrescersi del divario tra regioni meridionali e regioni settentrionali nell’offerta sanitaria erogata in concomitanza con la riduzione e cattiva redistribuzione del finanziamento sanitario pubblico. Si è quindi annullato il riavvicinamento della “forbice” Nord-Sud che, con grandissimi sforzi finanziari di più generazioni, era stato raggiunto.
Nell’attesa d’indici di monitoraggio LEA, che prescindano dalla verifica dagli adempimenti a soli fini premiali, sorge il sospetto che in un periodo caratterizzato per molte regioni da tagli lineari delle risorse, si preferisca non avere la piena cognizione dell’inadempimento ad un fondamentale compito
dello Stato nei confronti della propria comunità: la tutela della salute in modo uniforme sull’intero territorio nazionale.
Le verifiche da parte del tavolo tecnico del Ministero della salute dei LEA si caratterizzano infatti per una griglia connotata da palese genericità, e conseguono l’effetto pratico d’elargire ulteriori risorse proprio dove i LEA sono già assicurati.
La condizione particolare della Regione Campania.
La Regione è commissariata da un decennio. Un tempo del tutto inaccettabile che involge la responsabilità dei Commissari Governativi per questo protratto e gravissimo vulnus democratico, in violazione di elementari principi costituzionali.
Il commissariamento è istituto emergenziale a carattere temporaneo finalizzato al raggiungimento del riequilibrio finanziario a garanzia della tutela della salute, bene primario non comprimibile né subordinabile ad interessi di carattere economico. Ce lo dice da ultimo anche la Corte Costituzionale. Ebbene tale ordine di priorità sembra essersi totalmente sovvertito.
Dal punto di vista strettamente economico i dati dicono che la Campania in campo sanitario, dopo i gravi disavanzi del passato, ha raggiunto una stabilità economica ed ha prodotto addirittura nel 2015 un utile di gestione di circa 27 milioni di Euro. Delle Regioni in piano di rientro dal debito a creare da sola gran parte del disavanzo è attualmente la Regione Lazio (73,8%). Va poi aggiunto che le regioni a statuto ordinario in disavanzo nel 2015 sono Lazio, Liguria, Toscana e Sardegna (elab.dati del Ministero delle Finanze da report Istituto C.R.E.A. Sanità promosso dall’Università di Tor Vergata).
Nel contempo peraltro i cittadini delle regioni meridionali continuano a pagare somme elevatissime per i servizi sanitari pubblici, come attestato dal livello elevatissimo d’entrate proprie delle aziende sanitarie (ticket e prestazioni intramoenia), pari a circa un 25%, a fronte di un trend nazionale inferiore al 10%.
La Regione Campania continua a patire in ambito sanitario un gravissimo e pluriennale deficit di democrazia nell’ambito di un persistente commissariamento a seguito del quale i LEA in ambito sanitario anziché essere garantiti hanno conosciuto un tracollo verticale, come documentato proprio dal tavolo tecnico del Ministero della Salute in sede di verifica.
Il significato dei dati acquisiti, in termini d’assistenza negata, sembrano essere stati del tutto trascurati nella loro drammaticità da chi per fine istituzionale avrebbe dovuto avere quale suo primario interesse la protezione della popolazione. Eppure un recupero d’efficienza e riequilibrio del sistema sanitario non può essere valutato prescindendo dal riscontro pratico dell’incidenza delle politiche gestionali adottate sull’assistenza prestata.
Ebbene, dopo un decennio quasi di commissariamento, emergono in campo sanitario dati inconfutabili di una specifica “questione meridionale” che non può più essere sottaciuta dalle autorità competenti.
Il Rapporto Annuale ISTAT 2015 conferma:
– che risulta evidente “ lo squilibrio tra i bisogni potenziali di assistenza sanitaria e i criteri allocativi delle risorse adottati”, in sfavore del Mezzogiorno d’Italia,
– che in Campania il finanziamento pro capite raggiunge addirittura la quota minima di E.1755,00 a cittadino, a fronte delle aree settentrionali del paese dove si superano i 2000,00 euro pro capite,
– che in Campania la dotazione di personale sanitario, ben inferiore alla media in tutto il Mezzogiorno, non raggiunge il 7,7% della popolazione a fronte di vaste aree del settentrione ove esse superano addirittura il
10,4%,
– che in Campania è assai elevata, ed in aumento, la percezione dell’inadeguatezza del servizio sanitario erogato, con un elevatissimo tasso d’insoddisfazione;
– che in Campania ed in tutto il Mezzogiorno è elevatissimo il numero di cittadini che hanno rinunciato alle prestazioni per ragioni economiche o carenze delle strutture.
Il rapporto ISTAT Noi Italia 2016 conferma che la Campania è: ultima nella statistica di spesa sanitaria per abitante; ultima nella statistica per numero posti letto.
Il rapporto conferma altresì circa la condizione di “Salute” della Regione che la Campania è:
tra le ultime regioni per tasso di fecondità;
la regione che ha subito il maggior tracollo nel tasso di crescita
naturale dal 2004;
ultima nella statistica per aspettativa di vita;
prima nella statistica per mortalità cardiovascolare;
tra le prime regioni nella statistica per mortalità per tumori; tra le prime regioni nella statistica per mortalità infantile.
Il rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità redatto ai sensi della Legge n.
6 del 2014 «Mortalità, ospedalizzazione e incidenza tumorale nei Comuni della Terra dei Fuochi in Campania» (Musmeci, Comba, Fazzo, Iavarone, Salmaso, Conti, Manno e Minelli) ha chiarito che in Terra dei Fuochi «nel primo anno di vita, si registra un eccesso di bambini ricoverati per tumori. Si osserva anche un eccesso di bambini ricoverati per leucemie. Sempre nel primo anno di vita, si osserva un eccesso di incidenza per i tumori».
Un banale raffronto poi tra il regolamento sugli standard ospedalieri e la dotazione strutturale campana circa la rete dell’emergenza e le rete oncologica permette di comprendere la stretta interrelazione con i dati statistici innanzi esposti espressivi della negazione dei livelli essenziali d’assistenza in merito ai quali non si tratta semplicemente di procedere ad una riorganizzazione del sistema sanitario regionale, ma ad una selettiva attività d’investimento strutturale e tecnologico, necessaria ed indispensabile ad un recupero d’efficienza.
Anche in tal senso va da ultimo segnalato quanto emerso dalle statistiche sulle morti evitabili, che come segnalato per l’I.S.S. dal Dott. Ricciardi, attestano un drammatico e preoccupante ultimo posto della Regione Campania e del suo capoluogo, con oltre 20 giorni di vita perduti pro-capite. Ed è infatti evidente che il livello di sostanziale destrutturazione dei servizi ha un’immediata ricaduta sul livello delle morti evitabili.
Quanto esposto per ricondurre la questione del Servizio Sanitario Nazionale in canoni di realtà e concretezza che non possono prescindere dal recupero di un livello minimo delle risorse indispensabili a rendere possibile l’effettività dei LEA.
PERTANTO
l’Associazione Federconsumatori Campania,anche a nome del Comitato Sanità Campania, sigla che sta progressivamente raccogliendo molteplici associazioni ed enti rappresentativi delle realtà territoriali,portatrice dell’interesse diffuso del consumatore – utente a tutela di un diritto assoluto ed inviolabile quale il diritto alla salute,
facendosi portavoce del malcontento e della preoccupazione per un sistema sanitario pubblico che lede la dignità del cittadino, prima ancora del suo diritto alle cure;
rilevando l’evidente vulnus democratico connesso al protrarsi del commissariamento della Regione Campania;
ritenendo altresì inaccettabile che ad una conclamata e pluriennale negazione dei livelli minimi del servizio non segua una concomitante assunzione di responsabilità nei confronti delle comunità interessate;
ritenendo inaccettabile ed ingiurioso che in una simile condizione di deficit strutturale ed organizzativo ancora sussistano messaggi mediatici che addirittura giungono a colpevolizzare la popolazione ed il personale medico circa un presunto ed indimostrato “cattivo uso” del servizio sanitario pubblico in Campania o circa presunte “cattive” abitudini di vita;
rilevato che nell’attuale condizione le Istituzioni tutte si rendono responsabili di una silente ed evitabile perdita di vite umane e di salute direttamente connessa alla negazione del diritto alle cure;
ritenuto che le questioni esposte, lungi dal configurare una problematica di pertinenza esclusivamente locale abbiano una rilevanza nazionale;
constata la mancanza d’attività d’ impulso alla doverosa modifica dei criteri di riparto da parte del Ministro della Salute; né da parte del Presidente della Conferenza stato-regioni;
ritenuto che di tali questioni debba essere, in primis, garante il Presidente della Repubblica, quale rappresentante dell’unità nazionale.
RICHIEDE
l’immediata messa all’ordine del giorno della Conferenza Stato-Regioni:
– di un’indifferibile questione sanitaria nazionale e meridionale;
– dell’intesa sulla modifica degli attuali criteri di riparto delle risorse
necessarie al mantenimento del servizio sanitario nazionale;
– della pianificazione della necessaria, selezionata, attività
d’investimento in campo sanitario.
Il Presidente di Federconsumatori Campania
Rosario Stornaiuolo
Il responsabile dello Sportello Sanità di Federconsumatori Campania
Avv. Carlo Spirito
Il responsabile della Consulta Giuridica di Federconsumatori Campania
Avv. Ileana Capurro
Il presente Manifesto è aperto anche a successive adesioni di persone, enti ed associazioni firmatarie successivamente aderenti al Comitato Sanità Campania.
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