Il 2 aprile u.s. presso la Sala Capitolare di San Domenico Maggiore, con il patrocinio del Comune di Napoli, di Altamarea e degli Stati Teatrali, si è tenuto “FemminoCentrico” un percorso di narrazioni, testimonianze, danze, canti il cui “focus” sono le donne.
L’evento, curato dalla regia di Riccardo De Luca e interpretato dalla recitazione di Carmen Femiano, Tina Femiano, Annalisa Renzulli, Imma Villa accompagnate alla chitarra da Edoardo Puccini, ha accolto anche le testimonianze di Simonetta Marino, consigliere delegato alle Pari Opportunità del Comune di Napoli e Anna Copertino, giornalista.
Sentita e partecipata l’interpretazione di alcuni testi da Porpora Marcasciano, Patrizia Rinaldi, Angela Villa di cui il numeroso e commosso pubblico in sala ha potuto condividere i sentimenti e, talvolta, lo sgomento.
Molto suggestiva la semplicità della pedana/palco sulla quale gli interpreti si sono mossi, posta ai piedi dell’enorme affresco che rappresenta la crocifissione di Gesù, una cornice migliore non poteva esserci: nuda, come la crudezza delle narrazioni; drammatica, come il silenzioso massacro di troppe donne inermi.
E’ questo il “pan focus” su cui si è voluta concentrare l’attenzione.
Come spiega il regista, Riccardo De Luca, prendendo a prestito la tecnica cinematografica di Orson Wells nel suo “Quarto potere”, il pubblico può “scegliere, al di là dell’arbitrio del montaggio, il piano o i personaggi da seguire”.
Dinanzi alle storie di tante donne, infatti, il pubblico si trova di fronte a una scelta: credere o non credere, piangere o restare indifferente, se agire o restare a guardare.
In ogni caso, si tratta di una scelta che comporta uno spostamento dalla visione maschiocentrica i cui cardini posano su una retrograda cultura patriarcale che non ha più ragione di esistere, e una visione femminocentrica che non vuole sostituirsi e/o sovrapporsi a quella maschile, ma che pone l’accento sulla necessità di essere tutte e tutti protagonisti di una storia che si può costruire insieme.
Simonetta Marino, consigliere delegato alle Pari Opportunità, racconta l’esperienza positiva, perfettibile, dei centri anti-violenza e il convincimento che si debba fare ancora di più e in forma istituzionalizza perché i rischi per una donna non terminano al momento della denuncia, ma proseguono nel pericolo di un “dopo” ancora più violento. Non si deve consentire alle donne in queste situazioni, un ritorno indietro, perché questo cancellerebbe lo sforzo di denuncia e l’impegno a soluzioni più stabili e durature. La Marino suggerisce esperienze di co-housing e co-working per sostenere le donne violate nel processo di ri-inserimento in una condizione di vita adeguata.
A confermare l’immenso ed esteso sbigottimento che produce la violenza sulle donne, interviene Anna Copertino, giornalista, che testimonia del femminicidio perpetrato contro sua nipote, Giustina Copertino, da poco più di un anno. Una testimonianza forte, che cala la sala nel dolore reale. Un dolore che coinvolge tutti, oltre il silenzio, oltre la paura di denunciare, oltre l’indifferenza. E’, certo, il dolore di Giustina, ma è anche il dolore dei suoi bambini che voleva solo viverla, dirà la giornalista, ma è stata fatta morta, sottolinea con emozione per rafforzare lo squilibrio che c’è tra la morte naturale e quella premeditata del femminicidio, da chi aveva promesso davanti a Dio e agli uomini di amarla, questo è l’affondo finale della sua testimonianza. Non è amore quello che uccide.
Come non essere ciascuna delle donne narrate dall’interpretazione equilibrata e profonda delle attrici che con ironia, sorpresa, sgomento, hanno prestato la loro voce e i gesti e gli sguardi alle figure femminili cui hanno ri-dato vita. Sì, è come se avessero fatto nascere nuovamente, almeno per un po’, le donne e non le maschere che hanno rappresentato trascinando anche i cuori più recalcitranti in una realtà che non può e non deve essere negata.
Tutte le interpreti hanno nella recitazione offerto anche qualcosa di sé e della propria emozione.
Carmen Femiano, con voce profonda e calda, moderna cantastorie di racconti che non si vorrebbero reali, ha incorniciato e legato tra loro le storie. Un canto forte, deciso, che ha urlato al cuore di ciascuno l’esigenza fondamentale di trovare la propria voce e non tacerla mai.
Tina Femiano, luminosa e forte, ha mostrato la terribile scissione tra sogno e realtà nella storia di una giovane donna privata della fiducia nei sentimenti puri e onesti e bloccata nel pensiero di come avrebbe potuto essere il suo amore se fosse stato amore. Indubitabile la forza recitativa, la coerenza dell’interpretazione con la storia vera che è deve restare protagonista unica di questo focus.
Imma Villa, con la scelta dell’ironia, ha interpretato quanto beffarda sia la vita per una donna che tutto offre senza nulla chiedere in cambio. Una donna che sveste i panni della sua identità per vestire quelli della famiglia, smettendo di esistere nel pensiero dell’uomo che ama.
Annalisa Renzulli, femminile e fragile, è riuscita a dare forza e vigore e spessore anche alle figure femminili più fragili, alla bambina che osserva e subisce indirettamente ma profondamente il lascito di una violenza che distrugge e cambia.
Incredibilmente riuscito e significativo anche il racconto con voce maschile, quella di Riccardo De Luca, della storia di una bambina che vede il volto della madre coperto di lividi nei quali immagina di poter vedere sul volto amato solo viole.
Tutte le interpreti hanno dato voce anche alle storie più silenti del silenzio di Porpora Marcasciano, presidente del MIT – Movimento Identità Transessuale.
Tutto ha parlato alla coscienza, alla coscienza della donna e alla coscienza di essere donna.
Dove la prima rappresenta un sé generico frutto soprattutto della percezione degli altri esterni a tale sé e a esso riconducibile solo sotto forma di giudizio; la seconda, invece, indica il sé che esprime se stesso dall’interno e che informa la realtà della propria consapevolezza.
E’ la stessa differenza che corre tra persona e maschera, dove la prima riflette una percezione oggettiva della realtà unita alla piena accettazione di se stessa, mentre la seconda, la maschera, è il vestito che si indossa e che costringe a mettere in atto comportamenti corrispondenti a “ruoli definiti”, con solo poco spazio all’improvvisazione e al cambiamento.
Tra la percezione di una coscienza e dell’altra esiste un’ombra: il pensiero maschile sulla donna.
L’intero evento, che si propone di essere solo una prima puntata, parla alla coscienza, alla coscienza degli uomini e delle donne che si mettono a nudo e scelgono di spostare il proprio focus da un punto solo e imparare a vedere tutto.
di Loredana De Vita
This post was published on %s = human-readable time difference
Nemmeno il tempo di godersi la vittoria nel turno domenicale, la Gaia Energy Napoli sarà…
La campagna di solidarietà si conclude con un successo straordinario, portando gioia e sorrisi a…
Si comunica che il 31 dicembre 2024 tutti i siti del Parco Archeologico di Pompei…
Dicembre porta con sé luci, mercatini e una tradizione intramontabile: i film di Natale. Che…
Tempo di brindisi prenatalizi, apericene - sempre più in voga- e incontri in cui non…
Nell’ambito della terza edizione del Napoli Est Fest, la rassegna in corso nella VI municipalità,…