Fermate il mondo, voglio Schengen

0
327
Fermate il mondo, voglio Schengen

Schengen a me. Mentre accendo il PC per buttare giù queste due righe, l’edizione delle 12 del telegiornale di Das Erste – il “primo canale” televisivo tedesco – manda in onda le parole della culona sola al comando che ufficializza l‘entrata in guerra della Germania contro lo Stato Islamico, con 1.200 uomini, 6 Tornado, una nave da guerra, annessi e connessi, lazzi, frizzi e tricchitracchi.

We love Schengen

Tanto per cominciare, si intende. Per adesso non si minacciano ancora le chiusure repentine delle frontiere, la ricollocazione delle guardie doganali, la resurrezione dei visti di ingresso anche per i cittadini europei. Ma per quanto ancora?

Schengen frontierePrendete la Svezia. Hanno poco più di 9 milioni di abitanti e accolgono da anni immigrati mediorientali e nordafricani. Ultimamente si parla di botte da 100-120mila unità all’anno. Contemporaneamente, l’emigrazione dalla Svezia da parte degli svedesi, diciamo così, originali, non accenna a diminuire. Sono pronto a scommettere che fra cinquant’anni, forse meno, li descriveremo come un popolo di uomini bassi, di pelle olivastra e con i baffi.

E comunque… immagino che anche voi siate tuttora bombardati da questa ininterrotta maratona televisiva del terrore che imperversa in tv. Anzi ne sono certo, perché ogni tanto butto l’occhio anche io sulla Rai in streaming e da almeno un mese non vedo altro che giornalisti gongolanti davanti a tappeti di candele e mazzi di fiori, o intenti ad abbronzarsi al sole californiano prenatalizio. Qualcuno li manda lì fuori per spiegarci gli ingredienti dell’ennesimo cocktail di violenza quotidiano che ci tocca ingollare.

Un quarto di follia, un quarto di ISIS, un quarto di moglie islamica che ti martella che devi ammazzare gli infedeli, un quarto di interessi bancari planetari, un quarto di lobby delle armi, un quarto di tuta mimetica…  e se vi sembra che il conto non torni, sappiate che quando si mette insieme fanatismo religioso e petrolio, vendita delle armi e conti correnti, due più due fa almeno settantatre.

Ma io non cadrò nella trappola. Me ne fotto altamente del leit-motiv – è tedesco, modestamente – di queste ultime quattro settimane e farò di tutto per parlare di altro. Fosse anche parlare del tempo, come nella migliore tradizione delle più imbarazzanti chiacchiere ascensoriali.

Il tempo

Un termine che riesce ad infilare Einstein, una famosa marca di fazzolettini, Jovanotti, il colonnello Bernacca e un periodico di gossip, tutti nello stesso contenitore. Con il chiaro intento di indurre Einstein al suicidio. Rispetto al tempo atmosferico, fonti certe mi confermano che anche qui in Germania è il primo argomento di conversazione tra estranei. E fin qui non ci piove. Opss… vedete?

Ma è anche la prima cosa che mi chiedono gli amici italiani che sono in procinto di venirmi a trovare qui a Berlino: lì che tempo fa? E la mia risposta è immancabilmente “tutti”. Ti svegli e guardi il cielo dalla finestra. Sembra il 31 febbraio. Fuori ci sono i corvi con la sciarpa e il cappellino di lana. Allora esci di casa prudentemente bardato come un crociato dell’anno mille e fai subito una sudata della madonna. Perché com’è, come non è, il vento ha spazzato via le nuvole grigie della mattina e adesso splende il sole, che manco a giugno.

Quando anche la madonna capisce che non sei un crociato che si aggira per NeuKoelln in difesa dei principi religiosi cristiani ma solo l’ennesimo cazzone col passamontagna, ti scatena contro un uragano di vento e nevischio che fa subito tanto buon natale ma ti congela il sudore addosso.

Entri di corsa in metropolitana, che grazie al riscaldamento a palla andrebbe affrontata addobbati solo con un gonnellino di banane. E tu invece sempre lì, con il tuo giubbotto imbottito e il doppio maglione che ti cucinano a fuoco lento. Cominci a sfilarti prima un maglione, poi l’altro ma è solo mezzogiorno e sai che non è ancora finita. Mancano all’appello la pioggia delle tre del pomeriggio, il colpo di caldo prima del tramonto e la grandinata del dopo cena.

E il tempo fisico?

Agostino d’Ippona, un vescovo vissuto tra il IV e V secolo e che si vede che non aveva un cazzo da fare tutto il giorno diceva a proposito del tempo: “Se non me lo chiedi, so cos’è. Ma se me lo chiedi non lo so più”.

Ora, non so se questa definizione sia una genialata o se semplicemente Agostino si era fregato l’orologio del suo interlocutore e la stava tirando per le lunghe. Però so che qui in Germania hanno un concetto del tempo vagamente differente dal nostro.

Prendi il tipico pensionato berlinese. Lo vedi danzare il tango all’aperto, nuotare in piscina, passeggiare col tutore nei vialetti ricoperti di neve, giocando a dadi con l’infarto. Ti volti e ce n’è un altro che gira in bici anche sotto la grandine o che passeggia tenendosi per mano con il partner. E un altro laggiù, che si avventura nei viottoli di terra battuta del Tiergarten in groppa alla sua fida sedia a rotelle.

Il tempo, dicevamo.

Da noi, l’arte di sprecarlo ce la insegnano fin da bambini.

Qui, l’arte di ottimizzarlo la insegnano fin da vecchi.

Tschuess dal vostro Khanakis