Non è certo la prima volta che degli ultras prendono delle decisioni su squadre, partite e giocatori, e non serve andare a cercare precedenti chissà dove o chissà quando. Si pensi solo ad alcuni eventi italiani degli ultimi quattro anni.
Una maggiore diffusione
L’accaduto di sabato sera ha fatto molto più rumore di precedenti simili per diversi fattori. Innanzitutto le crescenti potenzialità di diffusione e immediatezza dell’ informazione, per cui tra tv, radio, profili Facebook e siti web giravano dopo pochi minuti già mille versioni diverse sull’accaduto, in secondo luogo dato che si assegnava la Coppa Italia, l’evento era stato trasmesso in eurovisione, un sabato sera del ponte del 1 maggio in prima serata raccogliendo dunque un bacino d’utenza più consistente di altri incontri sportivi.
Social, tv e spettatori
Otto milioni di persone in Italia erano davanti alla tv il 3 maggio 2014 per vedere Fiorentina-Napoli, finale di Coppa Italia. Quarantamila erano proprio all’Olimpico ad assistere al match, i restanti 50 e più milioni abitanti d’Italia hanno saputo dai social e in generale dal web dei fatti dell’Olimpico. 36% di share in Italia: ecco che allora tra gli utenti collegati c’era anche chi non era grande tifoso ma semplice curioso magari a maggior ragione delle notizie che si erano diffuse nelle ore precedenti al match.
Ci siamo arresi a lui
“Ci siamo arresi a lui”: una frase, un titolo che se sullo sfondo presenta un ultras con le braccia alzate, che domina gli spalti di uno stadio ora sembra ritrarre la scena di sabato 3 maggio 2014. Eppure per i tifosi più attenti, per alcuni giornalisti, per chi insomma si era già reso conto di certe cose prima che la situazione esplodesse così, non è una scena vista per la prima volta.
Fiorentina – Napoli come Italia- Serbia
12 ottobre 2010, al Marassi di Genova si sfidano Italia e Serbia in una gara valevole per la qualificazione all’Europeo 2012. Le cose si mettono male già prima dell’ingresso dei tifosi serbi, tra cui gli ultrà della Stella Rossa, squadra di Belgrado. In tribuna arriva la notizia di tre fermi e quindici feriti serbi negli scontri con la Polizia, e anche allo stadio le cose si mettono male. I circa 1.600 ultrà del settore ospiti a 10′ dall inizio della partita, cominciano a lanciare fumogeni verso l’adiacente gradinata nord, riempita da sostenitori dell’Italia. Il lancio prosegue verso il campo– Intanto le squadre entrano in campo. I giocatori sono ignari di tutto, si guardano intorno spaesati: così non si può giocare. L’arbitro scozzese Thomson ne prende atto, e manda le due squadre negli spogliatoi.
Vari dèjà vu, ma epilogo diverso
I tifosi ospiti non si placano, e allora provano a calmarli i loro giocatori: intervengono Stankovic e Krasic per una tregua. Si riparte alle 21.27, con 37’ di ritardo. Arrivano i fischi del pubblico di casa nostra ogni volta che tocca palla la Serbia. Al 6’ la gara si ferma ancora:per i fumogeni. Alle 21.38 arriva la decisione finale: non si gioca. Il pubblico applaude. In seguito si decretò il 3-0 a tavolino per gli azzurri, e ieri una decisione del genere poteva essere tra le possibilità, o addirittura si poteva decidere di non assegnare la Coppa.
Capitani e ultras a colloquio, non è una novità
Hamsik è solo l’ultimo di una sfilza di atleti che hanno dovuto confrontarsi in momenti critici con i tifosi., forse lo slovacco non ha però il carattere di alcuni suoi “antecedenti”, primo fra tutti Francesco Totti, protagonista dello stesso evento per due stagioni di seguito. Alla fine della stagione 2011/2012 infatti gli ultras contestavano la nuova Roma degli americani, Totti si recò in Curva Sud e loro cominciarono ad applaudirlo e a esaltarlo con cori, avanzando però la richiesta del cambio dell’allenatore, che allora era Luis Enrique. L’anno successivo stessa identica cosa, ma a perdere il posto fu Zdenek Zeman, peraltro presente l’altro ieri all’Olimpico. Gli ultras cacciano gli allenatori: succede anche nel basket, come in Expert Napoli-Tezenis Verona quando al capitano azzurro Malaventura fu chiesto la sostituzione del capo-allenatore Demis Cavina, apostrofato duramente tutta la partita, la sera del 1 dicembre 2013.
“Via le maglie o non si gioca più”, l’episodio del 2012
Sempre al “Marassi” il 22 aprile 2012, alcuni tifosi del Genoa, sotto di 4-0 contro il Siena in una gara casalinga fondamentale per la salvezza, provocano la sospensione di 45 minuti del match valido per la 34esima giornata dell campionato di serie A 2011/2012. Fumogeni, petardi e rischio di invasione: gli ‘hooligans’ nostrani per la prima volta dettano legge in uno stadio del massimo campionato. L‘arbitro Paolo Tagliavento sospende la gara al 54′ nella vana attesa che la situazione torni tranquilla. Gli ultras parlano col capitano Marco Rossi e gli chiedono che tutti i calciatori rossoblu si tolgano le maglie. Solo Giuseppe Sculli, calciatore di famiglia mafiosa, si rifiuta e va a parlare con la frangia estremista affinché permettano di riprendere il match, che ricomincia dopo 40′ e termina 4-1.
Per ultimo il precedente in Nocerina-Salernitana
In seguito alle minacce di morte ricevute dagli ultras, in Lega Pro i giocatori della squadra di casa nel derby del 10 novembre 2012 hanno fatto di tutto per sospendere il match. Nei primi 50 secondi sono state esaurite le tre sostituzioni, e poi cinque calciatori hanno abbandonato il campo simulando infortuni lasciando così la squadra in sei. Il numero minimo per giocare è in sette: così dopo appena 20′ l’arbitro sospende il match. Quell’illecito sportivo, dettato comunque dalla violenza ultras, portò la radiazione dai campionati professionistici della Nocerina e pesanti squalifiche per dirigenti, allenatori e calciatori.
Per una nuova mentalità
Insomma non c’è nessun copyright napoletano su questo tipo di episodi, ma purtroppo è solo che ora che le autorità (presenti allo stadio il premier Renzi e il presidente del Senato Grasso) e il pubblico non calciofilo si lamenta per certi meccanismi. Presto e tardi è arrivata l’ora di cambiarli e di cambiare alcuni pregiudizi territoriali. Il potere ultras prescinde dal gioco del calcio e dalla fede sportiva. E per rispondere ai cori razzisti dei tifosi viola: “No, la vergogna dell’Italia NON siamo noi”.