Gianni Puca: “Giallo sapevo che mi dovevo intervistare da solo”

0
255
Gianni Puca: "Giallo sapevo che mi dovevo intervistare da solo"

Autointervista da non perdere di Gianni Puca, che martedì 23 maggio, alle ore 19.00, presso la libreria IoCiSto, presenterà il suo “Giallo sapevo”.

Domanda: Buongiorno, Gianni Puca, perché ha sentito
l’esigenza di questa auto intervista?
Risposta: Perché in tanti anni, e dopo aver pubblicato tanti libri, scritto commedie teatrali, programmi televisivi, non mi ha mai intervistato nessuno.
D Mi sembra un valido motivo. Come mai, dopo un’incursione in un genere letterario diverso, ha deciso di ritornare al giallo umoristico?
R Avevo abbandonato un po’ il giallo perché mi fa impressione il sangue, ed ero costretto ad assassinare le persone a secco. Così, dopo sette libri umoristici, qualche anno fa mi ero proposto di scrivere un romanzo sull’Amore, più che un romanzo d’amore. E in quel libro ci ho messo tutto ciò che sapevo su questo complesso e indispensabile sentimento. Prima di scriverne un altro sul tema, dovrei innamorarmi di nuovo, magari soffrire un po’. Non troppo, possibilmente, perché sono allergico alla sofferenza, al polline e al riso con la verza.
Vabbè, il polline e la verza non c’entrano niente, ma per una volta che mi intervistano, ci tengo a dire tutto di me. Niente, ho deciso di ritornare a un genere che mi aveva divertito molto in passato: il giallo umoristico, strada sulla quale mi aveva indirizzato il mio amico Maurizio de Giovanni, al quale potrete chiedere il rimborso qualora non dovesse piacervi il libro!
Anche in questo giallo, sangue non se ne vede perché io anche
solo a leggere la parola “sangue”, svengo. Ecco, lo sapevo.
D Gianni, su, su. Beva un goccio di cognac. Va meglio?
R Sì, però non diciamo più quella parola per favore.
D No, per carità. So che questa storia è nata come sceneggiatura per un film.
R Sì, Nello Mascia l’aveva già suddivisa in scene, e avevamo pensato a un progetto per ricostituire i gruppi storici dei film di Massimo Troisi, Luciano De Crescenzo, Nanny Loi: una cooperativa di attori, un’associazione a deridere di stampo umoristico. Otto anni fa avevo coinvolto anche il mio amico Lello Arena, dal quale aspetto una risposta a breve. Ma, nell’attesa della risposta di Lello e di un magnate che abbia interesse a investire su questo progetto, ho fatto un’operazione inversa a quella che solitamente si fa: trasformare la sceneggiatura di un film in un romanzo, nel quale il lettore potrà tranquillamente scegliere gli attori per i vari ruoli e,
eventualmente cambiare il finale.
D Ah, quindi questo è il motivo della pagina bianca lasciata alla fine?
R Esatto. Pur raccontando quasi esclusivamente storie vere, dal delitto di via Poma alla vecchia nel canotto, dall’attentato di Piazza Fontana al titolare del caseificio arrestato per una bufala, grande è stato lo sforzo di renderle credibili, perché è davvero complicato trovare qualcosa di più surreale, per esempio, dei tagli alla Giustizia e alla Sanità che hanno ridotto il nostro Paese nelle condizioni in cui si trova oggi.
Quelli alla Cultura, poi, spiegano tutto il resto. A proposito, chi riconoscerà almeno dieci casi reali mimetizzati nella storia non vincerà niente, ma verrà assunto nel commissariato di piazza Quattro giornate come inquirente aggiunto. Anche se quel commissariato non esiste nella realtà.
D Sono storie sempre molto attuali.
R Sì, e sono ancora più attuali ora, e la rivoluzione auspicata si rende ancora più urgente. Ringrazio, ma poco, i politici che si sono inutilmente alternati in questi anni: senza di loro non avrei mai scritto questa storia.
D Molti personaggi sono tratti dalla realtà, forse una delle tante storie più forti, in cui sono coinvolti tanti bambini, sarebbe importante farla leggere nelle scuole.
R Sì, per la prima volta, ammetto di aver copiato qualche riga. Ma era inevitabile. Sì, perché uno dei miei personaggi preferiti è nato anni fa, ascoltando in tv l’intervista a una ragazza molto giovane, che raccontava della tragedia che aveva vissuto: la mamma colpita da un proiettile vagante, sotto ai propri occhi, mentre tornava a casa, mano nella mano con il fratellino di cinque anni. Quella giovane ora è una donna, Alessandra Clemente, che tanto fa per la nostra città, e ascoltando una sua intervista recente, ho voluto riportare ogni sua parola, affinché il suo messaggio arrivasse a tutti. Intorno a quelle parole è nato un personaggio in carta e ossa. La parte del boss che le chiede scusa, purtroppo, l’ho inventata io.
D Il taglio umoristico del romanzo sembra non avere lo scopo di far ridere, ma quello principale di far aprire gli occhi alle persone sulla realtà che subiamo e sul silenzio complice.
R Ma questa era la domanda o la risposta? Bella questa cosa, non ci avevo pensato, ma mi piace. Le dispiace se la riciclo, puca caso mi facciano un’intervista seria? Comunque sì, ha ragione. L’umorismo deve essere uno strumento, non il fine. Scusi, ma possiamo darci del tu? No, perché già mi sembra una cazzata questa cosa dell’autointervista, ma addirittura darmi del lei mi sembra esagerato. Ci conosciamo quasi da cinquant’anni!
D Certo. Con piacere. Per la prima volta, hai toccato temi molto forti che non eri solito affrontare nei tuoi libri.
R Sì, anche perché hanno riguardato persone a me molto care, quindi li ho visti più da vicino. Ho sentito il bisogno di parlare di quelle persone, come il signor Alfredo, che muoiono di dignità, affinché chi l’ha rubata loro si metta una mano sull’incoscienza. L’umorismo sarebbe un’arma sprecata se la si utilizzasse per inseguire il gusto del pubblico. Senza offesa per il pubblico,
preferirei vendere una sola copia e avere un solo spettatore in
sala a vedere il mio eventuale film, piuttosto che sprecare parole
e tempo, le cose più preziose che ci siano state donate.
D Perché hai sentito l’esigenza di parlare dei tanti gravi errori giudiziari che sono balzati agli orrori della cronaca negli ultimi trent’anni? Non può essere anche un po’ rischioso, considerato il tuo lavoro?
R Sì, sono consapevole che possa essere pericoloso, qualche magistrato potrebbe non vederlo di buon occhio, ma solo quelli ciechi. Quelli buoni si salvano da soli. E, grazie a Dio, sono la maggioranza. Ho voluto affrontare anche un tema connesso, quello della spettacolarizzazione del dolore, di cui si nutrono gli stalk show, e che tanto mi irrita. Pensa che un giorno, per non vedere più una certa trasmissione, ho realizzato un dipinto sul mio 65 pollici.
D L’aver scelto di affrontare queste tematiche con apparente leggerezza e un pizzico di irriverenza può essere pericoloso?
R Certamente, a volte penso che oggigiorno sia più facile fare il ministro che l’umorista, ma la mia apparente ironia non vuole certamente essere una mancanza di rispetto nei confronti delle vittime. Anzi. La mia era un’insopprimibile necessità di mettere a nudo un sistema che, purtroppo, vivo dall’interno da ormai ventisei anni, essendo un operatore di giustizia che cerca di portare avanti la sua missione “con scienza e con coscienza”, come mi aveva consigliato un frate il giorno prima di laurearmi in Giurisprudenza, allorquando gli avevo confessato, tra gli altri peccati, che volevo fare l’avvocato. Il mio non è assolutamente un attacco né alla magistratura né alle forze dell’ordine, ma a chi in queste categorie, con la loro cialtroneria, la loro supponenza, crea danni incalcolabili alle persone e, inevitabilmente, schizza fango anche sui propri colleghi che fanno il loro lavoro con diligenza e sacrifici. Questo è il motivo per cui dedico questo libro al dott. Enzo Tortora e a chi come lui è stato vittima di orrori giudiziari clamorosi che ne hanno distrutto la carriera e la vita, insieme a quella dei loro cari.
Quell’arresto vergognosamente spettacolare in diretta tv scioccò anche un bambino di dieci anni, che rivide più volte quelle scene agghiaccianti che vedevano come vittima il conduttore del suo programma preferito, investito dalla macchina del fango semplicemente perché era stato trovato nell’agendina di un boss della camorra un numero che apparteneva a un certo Tortona (quindi neppure un caso di omonimia), e che in realtà apparteneva a una sartoria! Un uomo perbene, un Signore che rinunciò anche all’immunità parlamentare rischiando di rimanere tritato in una “macelleria giudiziaria all’ingrosso”, mentre veniva definito dal magistrato che ne valutò le inesistenti prove a carico: “Cinico mercante di morte”, in virtù delle dichiarazioni di ’O animal, un camorrista che aveva strappato il cuore a un boss milanese, mangiandolo. «Io sono innocente. Spero dal profondo del cuore lo siate anche voi», aveva detto il dott. Enzo Tortora in aula ai magistrati. Quelle parole mi rimbombano nella mente da quando ero un ragazzino e continuano a farlo ogni volta che ho la sensazione che a essere colpevole sia il sistema giudiziario e chi lo ha ridotto in questo modo.
D Tra gli altri, questo libro è dedicato a un nostro Dio in comune.
R Sì, dedico questo libro anche al Signor Diego Armando Maradona, che per trent’anni è stato perseguitato e infangato dal nostro Paese, accusato di aver evaso il fisco per una somma che attualmente sfiora i quaranta milioni di euro, per delle tasse non dovute, in virtù di un’indagine fiscale i cui atti non gli erano mai stati notificati e che, quindi, in un Paese in cui si applica il diritto, non avrebbero mai potuto avere alcun valore giuridico! E dico questo da avvocato, non da tifoso, e dopo aver letto personalmente le carte. Lo dedico all’uomo,
non al calciatore. L’opera dedicata a Lui di cui parlo nel libro,
al momento non esiste, ma – essendo frutto dell’immaginazione – potrete semplicemente chiudere gli occhi, alzarli al cielo e, come me, vederla sospesa in aria come un Sogno ogni volta che passo in quel posto magico in cui una rivoluzione senza armi portò gli ultimi a diventare i primi.
D A proposito di rivoluzione, so che questo libro ha avuto degli strascichi giudiziari.
R Purtroppo sì, è una cosa che mi dispiace molto, io non amo fare cause, ma sono stato costretto a rivolgermi al me stesso avvocato per citare in giudizio sceneggiatori e produzione de La casa di carta per l’evidente e assurdo caso di plagio preventivo: hanno spudoratamente e maldestramente provato a imitare una mia idea, solo che ai protagonisti hanno banalmente scelto di dare nomi di città come Berlino, Tokyo, Nairobi, Pavia, anziché quelli dei quartieri di Napoli da cui partirà un giorno la vera rivoluzione.
D No, Pavia non mi risulta. Non c’è.
R E come mai?
D Non ne ho idea. So che, inizialmente, questo libro era di circa seicento pagine. Poi cosa è successo?
R Niente, l’editor ha tagliato tutto, dice che se ne poteva creare una trilogia. E ho cominciato a pensare che forse aveva ragione, considerato che aspetto una risposta per il film da un regista famoso, da circa tre anni. Secondo me, non ha ancora finito di leggere la versione originale. Però una delle scene tagliate la metto qua, subito dopo l’auto-intervista. Quella dell’assassinio di Agatha Christie.
D Gianni Puca, io ti ringrazio per l’esclusiva, spero possa avere giustizia almeno il protagonista del tuo libro. O quantomeno il libro.
R Grazie a te, sull’esclusiva puoi stare tranquillo. Giallo sapevo che mi dovevo intervistare da solo.