Il 14 aprile 1981venne ucciso sulla tangenziale di Napoli il Dottor Giuseppe Salvia, vicedirettore dal 1975 al 1981 del Carcere di Poggioreale. Questo valoroso Funzionario dello Stato venne trucidato in un barbaro agguato ordinato dal boss Raffaele Cutolo, capo incontrastato di quella che si autoproclamò “Nuova camorra organizzata” in lotta feroce e sanguinaria con il resto della galassia camorristica.
Ma Cutolo per consolidare il suo “prestigio” criminale non esitava a minacciare, a intimidire e spesso a uccidere chi non si mostrava intimorito del suo potere del male.
Del resto, ebbe sotto gli occhi la strategia terroristica messa in atto dai corleonesi contro tutti coloro che fecero da argine alla tracotanza criminale di quel pericoloso clan mafioso.
Dagli atti processuali e dagli accertamenti storici, a scatenare le ire di Cutolo contro il Dottor Salvia fu la irremovibile decisione da parte di quest’ ultimo di applicare il regolamento carcerario anche nei confronti del boss ovvero quello di perquisirlo al rientro da una udienza dibattimentale avvenuta il 7 novembre 1980.
Infatti, a fronte di alcune titubanze degli agenti a eseguire la perquisizione, il Dottor Salvia decise di effettuare personalmente la perquisizione, e Cutolo si sentì colpito nella sua “autorità”, soprattutto all’ interno del penitenziario dove era in atto una lotta sanguinaria tra opposte fazioni, non a caso la sera del 23 novembre 1980, quando arrivò una forte scossa di terremoto, avvenne una carneficina nel carcere di Poggioreale.
All’ atto della perquisizione, Cutolo provò addirittura a schiaffeggiare il Funzionario, ma le mafie hanno la memoria lunga e, quindi, evidentemente, fu formulata la sentenza di morte nei confronti del Dottor Salvia fatta eseguire dopo alcuni mesi.
È chiaro che, pur essendo consapevole dello spessore criminale di quel detenuto e che la perquisizione poteva costargli cara, il Dottor Salvia avvertiva l’ importanza di riaffermare la legittima autorità dello Stato.
Un vero e proprio “Giusto” che decide di fare quello che non solo il suo dovere istituzionale prevede, ma anche la sua coscienza. È consapevole che in quel momento rinunciare alla perquisizione rappresenterebbe innanzitutto un rafforzare l’ arroganza criminale di Cutolo.
Io credo, senza tema si esagerare, che siamo di fronte a quei casi in cui occorre decidere tra la cosa giusta e quella conveniente, tra il male e il bene. Il Dottor Salvia scelse per la sua dignità di uomo, di servitore dello Stato. Fece una scelta di libertà, da un certo punto di vista.
Tra l’ altro, fu una scelta in perfetta sintonia con la sua personalità, infatti egli si caratterizzava per il fatto che si preoccupava costantemente per le condizioni di vivibilità per tutti i detenuti che riteneva non dei reietti, ma persone che avevano tutte le potenzialità per essere inserite nuovamente nella comunità civile.
Quando ci fu il terremoto dell’ 80, si racconta che per due giorni consecutivi non fece rientro a casa, pur di sistemare al meglio la struttura penitenziaria che prenderà successivamente il suo nome.
Una persona di questo genere doveva essere assolutamente tutelata, e non fu fatto. Il figlio Claudio giustamente lamenta che il padre aveva fatto domanda di trasferimento, perché aveva capito perfettamente di essere diventato un personaggio scomodo e non solo per l’ episodio della perquisizione. Provarono, infatti, anche a corromperlo, ma il Dottor Savia aveva fatto una definitiva scelta di legalità e di fedeltà allo Stato.
Non è un caso che era nel mirino anche delle Brigate Rosse, come dimostrato dal rinvenimento in un loro covo di un “libro nero” in cui compariva il suo nome, la targa della sua auto, nonché il modello della stessa.
Per l’ omicidio del vicedirettore nel carcere di Poggioreale furono condannati all’ ergastolo Raffaele Cutolo e la sorella Rosetta, insieme con altri due imputati, Carmine Argentato e Mario Iafulli. Inoltre furono condannati a 24 anni di reclusione Mario Incarnato e a 14 anni Roberto Cutolo, figlio del citato boss.
Ma le condanne, per quanto importanti, non risarciscono vite spezzate. Claudio Salvia, quando fu ucciso il papà aveva tre anni. Il fratello Antonino ne aveva cinque. Due bambini privati del proprio padre e la loro mamma, Giuseppina Troianiello, del marito.
In realtà, tutti noi che non siamo stati direttamente colpiti da questi episodi di morte abbiamo una importante responsabilità: quella di ricordare, di esercitare continuamente la memoria di queste persone e i motivi per i quali hanno perso la vita.
Questo è necessario non solo per rendere omaggio doveroso a queste persone, ma anche per attivarsi al fine di rimuovere le cause profonde che hanno consentito la nascita e il consolidamento di poteri criminali.
Non ci sono innocenze da rivendicare, ma assunzioni di responsabilità ad ogni livello.
Io credo che questo sia il lascito morale di persone come il Dottor Giuseppe Salvia.
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