In occasione del 22mo anniversario dell’uccisione di Silvia Ruotolo, la città di Napoli, l’Associazione Libera e la Fondazione a lei dedicata organizzano una due giorni di commemorazione e di racconto del quotidiano impegno per fare in modo che nessun bambino debba vivere il dolore della perdita violenta della propria mamma.
Sono trascorsi 22 anni dal giorno in cui Silvia Ruotolo fu uccisa in un agguato di camorra, mentre teneva per mano suo figlio Francesco e sotto gli occhi attoniti della figlia Alessandra. Una grande perdita per la famiglia e per la città: madre, moglie, educatrice. Riconosciuta vittima innocente della criminalità, è diventata il simbolo del desiderio di cambiamento e dell’impegno della sua famiglia e dei tanti giovani che hanno dato vita a presidi di Libera e centri di aggregazione che portano il suo nome. (#GIVEaVOICE)
Video-intervista a Antonio D’Amore
L’11 giugno ricorre il 22 esimo anno dal suo assassinio. Continua l’impegno nei confronti della sua memoria e della società affinché Silvia possa continuare a profumare di vita e possa continuare a incoraggiare i tanti che credono nella verità e nella giustizia.
Silvia nasce a Napoli, il 18 Gennaio del 1958, da Michele Ruotolo e Maria Teresa dalla Guda. È la secondogenita. Michela e Giovanni sono i suoi due fratelli. Michela più grande, Giovanni più piccolo di lei. Occhi color nocciola, mora, capelli lunghi e lisci da ragazza, corti e morbidi una volta sposata, suona la chitarra e gioca a tennis. Cresce al Vomero, quartiere di Napoli nel quale vive. Viale Michelangelo è la strada dove tutta la sua famiglia abita e sulla quale trascorre giocando i pomeriggi d’infanzia. Molti scherzi per i passanti malcapitati, ma anche aiuto per le buste della spesa a qualche signora un pò più avanti con l’età. Inconfondibile è il suo sorriso, tanto grande e generoso da avere la forza di un abbraccio. Frequenta gli studi magistrali, si diploma e nel 1982 incontra Lorenzo. Si sposano nel 1985. Il primo figlio sarà una bambina, la chiamano Alessandra e Silvia decide di diventare mamma a tempo pieno. Nel 1992 di nuovo con il pancione. Silvia aspetta Francesco e proprio in quell’anno si trasferiscono in una casa più grande, panoramica, al 9° piano di Salita Arenella 13/A. Presente e gioiosa, per lei fare la mamma significa in primo luogo seguire i bambini a scuola. Dinamica rappresentante di classe si batterà insieme ad altre mamme per avere la mensa scolastica nell’asilo Nuvolo, frequentato dai suoi figli. Una donna normale, una mamma speciale. Organizzerà per i ragazzi disabili del centro Giffas, frequentato da Francesco per risolvere un piccolo ritardo nel linguaggio, una vendita dei loro prodotti per l’autofinanziamento dei laboratori presso la Chiesa dell’Immacolata, che lei frequenta e nella quale con lei, Alessandra, ma senza di lei, Francesco, faranno la loro prima comunione.
Si, perché Silvia viene assassinata l’11 giugno del 1997. Ha 39 anni e stava tornando nella sua casa di salita Arenella, dopo essere andata a prendere all’asilo Francesco, lo tiene per mano. A guardarla dal balcone c’è Alessandra. Francesco ha 5 anni, Alessandra 10. Lorenzo che è al lavoro accorre informato da una telefonata. Il commando di camorra che sparò all’impazzata aveva come obiettivo il clan Caiazzo – Cimmino, avversario del clan Alfano. Furono sparati quaranta proiettili che oltre a uccidere Salvatore Raimondi e ferire Luigi Filippini, due affiliati del clan Caiazzo Cimmino, uccisero sul colpo Silvia e ferirono alla spalla un giovane studente universitario Riccardo Valle. La collaborazione con la polizia di uno dei killers, Rosario Privato, risultò decisiva per l’individuazione del gruppo di fuoco. Rosario Privato fu arrestato il 24 luglio dello stesso anno mentre era in vacanza al mare in Calabria.
Carlo Visconti, che sarà pm del processo, con Luigi Gay e Raffaele Marino, che sarà Giudice per le indagini preliminari, insieme agli uomini delle forze dell’ordine accorse quella mattina, l’inchiesta fu condotta dalla sezione omicidi diretta dal futuro capo della squadra mobile Vittorio Pisani, questore Arnaldo La Barbera, promisero alla famiglia: “Li prenderemo tutti”.
L’11 febbraio 2001 la quarta sezione della Corte d’Assise di Napoli presieduta da Giustino Gatti, condannò all’ergastolo i responsabili della strage: il boss Giovanni Alfano, Vincenzo Cacace, Mario Cerbone, Raffaele Rescigno (l’autista del commando) e Rosario Privato. Promessa rispettata. Promessa rispettata davanti agli occhi di Lorenzo che, costituitosi parte civile nel processo penale insieme ai figli, fu presente in aula in ogni udienza dibattimentale del lungo e difficile processo.
Nel 2011 l’ultimo tassello alla ricostruzione giudiziaria. la Corte d’ Assise d’Appello presieduta da Omero Ambrogi, ha confermato la condanna al carcere a vita a Mario Cerbone, l’ultimo degli imputati per il quale il procedimento era ancora aperto mentre sono diventate definitive le altre quattro condanne, compreso l’ergastolo al boss del Vomero Giovanni Alfano, il mandante della spedizione di morte sfociata nel tragico omicidio. Il verdetto della Corte d’Assise d’Appello ha confermato così la correttezza dell’impianto accusatorio sostenuto in udienza dal sostituto procuratore generale Gerardo Arcese.
L’11 luglio 2007, la dodicesima sezione del Tribunale Civile di Napoli decretò un “significativo risarcimento” per i familiari di Silvia Ruotolo, primi in Campania ad aver beneficiato del Fondo di solidarietà per le vittime di reato di tipo mafioso, che nelle volontà del comitato Silvia Ruotolo e dell’associazioni Libera, servirà per finanziare la costituzione di una fondazione intitolata a Silvia Ruotolo, dedicata ai ragazzi a rischio. Il Comitato Silvia Ruotolo, presieduto da Lorenzo Clemente, marito di Silvia, negli anni a seguire è stato estremamente attivo nell’impegno per la legalità e contro la Camorra. A Piazza Medaglie D’Oro a Napoli, su una lapide nei giardinetti c’è una targa intitolata a Silvia Ruotolo, dove ogni 11 giugno i familiari e la società civile si riuniscono e depongono i fiori per commemorare Silvia.
L’assassinio di Silvia ebbe grande risalto mediatico e contribuì alla crescita della consapevolezza sulla gravità del fenomeno camorristico. Un solo colpo, una “pallottola vagante” la colpì sotto lo zigomo sinistro. Morì sul colpo. Mentre teneva per mano suo figlio e dal balcone di casa l’altra figlia, Alessandra, vedeva la scena. Una morte che ha cambiato la vita di molti e anche di una parte di Napoli. Che si indignò, che partecipò ai funerali. Che si impegnò per costruire giustizia, nelle aule di tribunale e non solo. Silvia Ruotolo non è stata dimenticata. Lei come tante altre vittime innocenti di Napoli.
L’11 giugno 2011, dopo 14 anni, la Fondazione Silvia Ruotolo onlus “Tutto ciò che libera e tutto ciò che unisce in memoria di Silvia Ruotolo” è nata. A darne la notizia sono Francesco e Alessandra insieme al loro papà Lorenzo. Le intenzioni del 2007 sono diventate realtà. La fondazione propone oggi percorsi di impegno concreto e quotidiano contro la cultura criminale e camorristica che ha ucciso la loro giovane madre e sposa, per farla profumare ancora di tanta vita.
di Alessandra Clemente (Libera)