Napoli – Gli avvocati italiani sono in crisi. Solo nel 2016 sono state quasi 5.000 le cancellazioni dall’albo, di avvocati giovani e non, sopraffatti dai costi necessari per poter esercitare la professione. Oltre le spese vive occorrenti per mantenere il proprio studio e svolgere la propria attività, per la maggior parte degli avvocati risultano troppo alti i contributi imposti dal loro istituto pensionistico: la Cassa Forense, i quali non sono parametrati al fatturato del legale e quindi troppo spesso si risolvono in una vera e propria zavorra impossibile da affrontare per quanti, colpiti dalla crisi, hanno registrato un calo dei redditi.
Se si pensa ai più giovani poi ci si rende facilmente conto che, in pratica, vengono accompagnati alla porta prima ancora di avere il tempo ragionevole di costruirsi un futuro stabile in anni difficili come questi. I dati diffusi dalla stessa Cassa Forense delineano uno scenario decadente, in cui i redditi sono calati e le diseguaglianze stanno spaccando una categoria nella quale il 56,20% guadagna solo l’11,5% del reddito complessivo prodotto dagli avvocati nostrani. I costi richiesti a tutti per poter continuare ad esercitare la libera professione, però, non tengono conto di tutto ciò.
Gli organismi che rappresentano l’avvocatura non sembrano prendere contromisure per fermare il declino della propria categoria. Intanto il Consiglio Nazionale Forense, ossia l’organismo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana, ha approvato un regolamento che introduce dal gennaio del 2016 un “gettone di presenza” per i componenti dell’ufficio di presidenza, i quali in sostanza rendono la politica forense una vera e propria attività politica professionale, archiviando la previsione dei soli rimborsi spese. Precisamente, i gettoni ammontano a 90.000 euro per il presidente avv. Andrea Mascherin, 70.000 per il consigliere segretario, 50.000 per il vicepresidente e il tesoriere nonché un gettone di presenza di 650 euro per gli altri 28 consiglieri per ogni seduta, i quali ultimi possono ammontare fino a quasi 700.000 euro all’anno, pagati anche da quel 56,20% di avvocati che guadagnano meno di 20.000 annui e che, grazie a questo, via via si stanno cancellando dall’albo scegliendo altri mestieri nonostante un lungo e tortuoso percorso di studi e pratica professionale sostenuto per giungere ad esercitare la libera professione nel settore del diritto.
Il quadro, insomma, è critico per gli avvocati italiani ed è di questi giorni la notizia di una sollevazione di migliaia di legali in tutta Italia, partita con una petizione promossa dagli avvocati catanesi e diretta a sensibilizzare i componenti del Consiglio Nazionale Forense affinché diano un concreto segnale di vicinanza alla maggioranza di colleghi in difficoltà eliminando almeno i gettoni introdotti l’anno scorso. A Napoli, per gli stessi motivi, l’associazione forense “Nuova Avvocatura Democratica” ha scelto di presidiare l’ingresso del Tribunale ininterrottamente, iniziando lo sciopero della fame. L’Avv. Ciro Sasso, sabato sera ai nostri microfoni, ci spiega le ragioni dello sciopero indetto ad oltranza cui per il momento partecipa insieme agli Avv.ti Salvatore Lucignano (Segretario Nazionale di Nuova Avvocatura Democratica), Giuseppe Scarpa e Ciro Ignorato.