Gli studenti non conoscono la grammatica… Cari Docenti, colleghi delle Università

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Mi ha molto colpito la lettera di denuncia dell’ignoranza grammaticale degli studenti.

Mi ha colpito perché è vero e perché potrebbe essere una buona occasione per evitare qualsiasi sterile polemica e riflettere su quello che è un dato di fatto: gli studenti non sanno scrivere e, aggiungo, neanche parlare bene.

Il vostro disagio è anche il mio, cerchiamo, però, di capire bene la natura del problema e la sua origine.

Lo dico da docente di Liceo, dove, insegnando lingua e letteratura Inglese, mi scontro spesso con la difficoltà di studenti che non conoscono il “gergo” della grammatica per cui diventa complesso persino spiegare un “pronome” in inglese.

La mia, però, è la stessa difficoltà dei miei colleghi di lettere del liceo e anche di quelli della scuola media ed elementare…

Sì, perché il vero problema non sono i docenti e la loro impreparazione, questa è una prospettiva sbagliata e falsa da cui analizzare il problema.

Cerchiamo di non fare a scarica barile né di cercare un capro espiatorio per un “fatto” che resta, anche se ci azzanniamo l’un l’altro: gli studenti non sono preparati.

Il vero problema non sono i docenti di ogni ordine e grado, ma una scuola che negli anni, di riforma in riforma (per non volermi neanche concentrare sull’assurdità dell’ultima, la cosiddetta “Buona scuola“), è stata sempre più svilita e annichilita nella sua funzione essenziale, quella formativa e culturale.

Sempre di più la scuola è stata trasformata in un’azienda, i suoi meccanismi “burocraticizzati” all’estremo, guidata da persone che di scuola sanno poco o nulla, ridotta al fare invece che all’essere. 

Che cosa significa?

Che i docenti, pur riconoscendo che alcuni siano più competenti di altri nella gestione e nella guida della classe, sono stati ridotti a un ingranaggio misero nella “macchina scuola” che non guarda più alle persone e neanche più al “prodotto” culturale in sé, ma al gusto e agli interessi dei clienti: le famiglie.

Sì, perché le famiglie, che nel processo educativo dovrebbero collaborare con la scuola e con ogni singolo insegnante, non sono che “clienti” e hanno cominciato a comportarsi da tali. Ormai da anni giudicano gli insegnanti senza conoscere e spingendo al ribasso per risparmiare “fatica” ai propri iper protetti e demotivati figli che non riconoscono il valore della scuola e della cultura.

Le famiglie non intendono più da anni gli insegnanti come cooperatori della formazione umana e culturale dei propri figli, ma come “servi inutili” che se ne occupano al posto loro quando non ci sono… badate bene: NON “se ne prendono cura insieme a loro”, MA se ne occupano al posto loro.

Col passare degli anni questa visione ha preso piede conferendo un ingiustificato potere alle famiglie che, si sa, intervengono contro gli insegnanti anche in presenza dei figli tentando, così, di deificarsi ai loro occhi mostrando la propria forza e il potere mentre destabilizzano la dignità dell’insegnante come persona e come professionista.

Cattivi maestri, questi genitori!

Inoltre, e non ultimo, la situazione è persino peggiorata. Come?

E’ bastato far credere che l’attivismo nella scuola potesse sostituire la cultura, rispondendo all’esigenza delle famiglie di depositare sulle spalle della scuola (i suoi docenti) il bisogno di essere liberi dai figli stessi.

Ecco, allora, che nella scuola si moltiplicano attività su attività, proprio come nella vita fuori scuola dove i genitori non rispettano il sacrosanto diritto dei figli di giocare, di leggere, persino di “annoiarsi”, di darsi da fare per scopriere interessi e hobby, ma calcolano ogni istante dilaniando il loro tempo, che non gli appartiene, in attività di qualsiasi tipo purché NON imparino ad auto gestirsi e, soprattutto, non siano di ostacolo.

Così, nella scuola si DEVONO fare le “attività”, questo vogliono le famiglie!

Le attività, però, non possono restare nel solo tempo extra scolastico, ma devono essere certificate… non importa la consistenza reale delle certificazioni… purché le “carte siano a posto”, la frase più frequente che si sente pronunciare a scuola e non solo da parte del personale docente, anche le famiglie lo dicono.

Sembra che il numero delle attività indichi la qualità della scuola… salvo poi leggere con costernazione i fatti come raccontati dagli atenei universitari.

Questo si è perso nella scuola, il senso della propria funzione che non è rispondere a quello che vogliono le famiglie, ma a quello di cui hanno bisogno i ragazzi; soprattutto in un tempo come il nostro in cui tutto corre veloce e senza riflessione, in cui le attività si susseguono senza lasciare traccia, in cui il fare non sfiora l’essenza e non stimola l’essere.

La qualità di una scuola, invece, NON DEVE essere misurata sulle cose che si fanno, ma su quanto si insegna ai ragazzi, sulla capacità di renderli liberi di fronte alle scelte, sicuri di fronte alle difficoltà, preparati di fronte a qualsiasi confronto, consapevoli dei limiti, dei punti di forza come delle debolezze, capaci di risollevarsi e andare avanti.

E’ vero, i nostri ragazzi non sono sempre preparati nelle condizioni basilari, ma non è colpa degli insegnaiti e della scuola.

C’è una crisi culturale in atto che non si risolve attribuendo ad altri le responsabilità di scelte che compromettono il valore e la validità della scuola e della cultura.

E’ una crisi di idee e di valori, di decadimento del senso e di egoismi profondi; è una crisi che gli insegnanti stavano aspettando, si poteva percepire anche nel malcontento verso una riforma che ha sminuito ulteriormente la dignità di una classe sociale di professionisti usati come pedine e/o tappa buchi.

Si è voluto fare finta di niente: gli insegnanti sono rimasti inascoltati e le loro proteste ridotte solo alla locazione del lavoro e non all’attenzione per una qualità da organizzare per gli studenti di cui non si parla nella riforma.

Che si eviti qualsiasi polemica e che si cominci a costruire da qui, da questo fatto, da questa lettera di denuncia; che si dia valore ai ragazzi e alle loro reali esigenze, che si restituisca alla scuola il suo senso e la sua libertà.

di Loredana De Vita