Gli anni iniziano a essere davvero tanti nella nostra fuga dal Novecento. Una fuga caratterizzata non solo dal voler fuoriuscire dalle ideologie che avevano fortemente e, in alto casi, drammaticamente segnato il secolo che è alle nostre spalle, ma anche da una evasione dalla politica.
In questi anni è emerso un vero e proprio timore di costruire identità politiche forti, marcate, solide, ritenute poco adatte a leggere e ad affrontare questo tempo fluido, dove tutto tende a mescolarsi e a confondersi.
Lo stesso Governo delle larghe intese presieduto da Draghi viene vissuto non come una misura d’eccezione per una situazione di emergenza, bensì come un prodotto di un particolare scenario politico e sociale che va a consacrare istituzionalmente un indistinto democratico, nel quale le identità, per quanto di per sé già molto indefinite, sbiadiscono ulteriormente. Tutto diventa prassi, tecnica e compromesso e questo spegne ogni passione.
Negli ultimi decenni vi è stato solo un Governo con una maggioranza parlamentare vasta quanto quella del Governo Draghi: Andreotti della solidarietà nazionale che nacque nel 1976 e morì nel 1979.
Le due esperienze hanno un solo punto in comune: l’emergenza. Infatti, quello di Andreotti aveva il compito di sconfiggere il terrorismo e frenare l’inflazione, mentre quello di Draghi deve fronteggiare la pandemia e uscire quanto più rapidamente possibile da una devastante crisi economica.
Non ci sono altre somiglianze: il Governo Andreotti fu il frutto di una precisa strategia politica di grandi partiti che la avevano elaborata per diversi anni, invece l’ Esecutivo attuale nasce da una profonda crisi dei partiti e dalla impossibilità di creare in Parlamento delle maggioranze omogenee.
La caratteristica di questa attuale politica scolorita è una forma di disimpegno ideale e, quindi, possono accamparsi destra e sinistra, nonché forze politiche in via di definizione che sono pronte a prendere il colore delle fase politica con una buona dose di opportunismo, invece di contrassegnare lo specifico gioco politico con i propri ideali e programmi.
Questa situazione ha fatto rinascere un centro politico particolarmente affollato, però, non figlio di una certa tradizione democratica e repubblicana. Un centro che ha una sua capacità attrattiva nei confronti dei partitini dell’ area Calenda, Italia Viva per offrire a Renzi un maggiore spazio di manovra, Forza Italia per trovare una forma di sopravvivenza al tramonto del berlusconismo e le schegge di destra per trovare un approdo. Inoltre, è di centro lo stesso Governo Draghi che rifiuterebbe una diversa definizione impegnato a conciliare gli opposti.
L’ approdo del prossimo futuro del M5S non è ancora chiaro, visto anche il percorso sotterraneo che Conte sta facendo per una formazione politica nata in piazza e che irrideva ai tradizionali riti della politica. Al momento, quello che si sa è che sono in corso incontri riservati e che qualcuno sta scrivendo misteriosamente la nuova carta dei valori che dovrà ispirare e regolare la trasformazione del M5S. Null’altro è dato di sapere, con buona pace del metodo democratico. Roba da farci desiderare il vecchio Comitato Centrale della Prima Repubblica. L’ osannato streaming è stato abolito, utilizzato solo per delegittimare la politica altrui, senza mai illuminare quella dei Cinquestelle.
Un deficit di trasparenza e di confronto pubblico, e Conte inizia a rendersene consapevole, infatti ha recentemente dichiarato: “questo progetto non può nascere in queste condizioni, da un mio auto isolamento con una investitura solo dall’ alto”.
Ma il M5S continua a sostenere di essere: “né di destra, né di sinistra”, una sorta di altrove rispetto alla geografia politica e parlamentare della tradizione europea. Questa scelta, o meglio non scelta, è frutto di una irrisolta definizione identitaria, perché destra e sinistra non solo continuano a esistere, ma, anche se su uno scenario sociale diverso, continuano a costituire una divisione ideale di valori e interessi legittimi in cui si articola lo spazio pubblico e politico.
Non si può fare finta di non vedere cosa è diventata la destra nel nostro Paese e nel mondo. A tal riguardo, gli esempi sono purtroppo tanti: negli Stati Uniti, abbiamo avuto la Presidenza Trump finita simbolicamente con l’ attacco al Campidoglio ossia con una ribellione al voto libero dei cittadini; in Europa assistiamo a un sistematico attacco ai diritti da parte degli Stati governati dalle destre; in Italia, i metodi, gli obiettivi e le pratiche politiche della Lega e di Fdi ricalcano in pieno una mentalità oscurantista e reazionaria, ad eccezione di una componente, al momento minoritaria del partito di Salvini, il cui esponente di punta è il Ministro Giorgetti.
Pertanto, non si capisce come può ignorare tutto ciò il M5S nel suo processo di rifondazione che è ufficialmente orientato in una equidistanza tra destra e sinistra.
È legittimo il sospetto che lo scopo vero è quello di rendere le alleanze politiche interscambiabili, pur di rimanere al comando. Ma questo determina scelte politiche dettate solo dalle contingenze e non da una cultura politica figlia di una visione del mondo.
Una politica che continuerebbe a essere marginale rispetto al destino degli esseri umani che resterebbero prigionieri di altri poteri liberi da ogni legittimità e, tanto meno, di legalità.
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