Hanno suscitato vasto interesse nella comunità scientifica internazionale i risultati della Ricerca sulla longevità “P.e.r.d.a.s.” – a cura di Comunità Mondiale della Longevità, Ierpof onlus e Università di Cagliari – svolta nella “terra dei centenari sardi” nella Sardegna centro-orientale – una delle cinque “zone blu” del mondo (le altre sono Okinawa in Giappone; Nicoya in Costa Rica; Icaria in Grecia; Loma Linda in California). Si tratta di specifiche aree con una concentrazione di ultracentenari e una speranza e qualità di vita decisamente superiore alla media mondiale.
Non è la prima volta che equipe di medici, antropologi, demografi ed epidemiologi studiano ed analizzano le blue zone, esempi viventi e concreti di longevità, per cogliere come i loro “segreti” – ad esempio la partecipazione sociale, la “capacità di contribuire alla società” ed essere socialmente attivi – aumentino l’aspettativa e la qualità di vita degli anziani.
Ma la novità che sta emergendo con evidenza dalla ricerca scientifica sul vivere più a lungo e bene, è lo specifico ruolo-chiave positivo svolto in tal senso dalla gratuità.
Roberto Pili, medico e presidente della Comunità Mondiale della Longevità, afferma che dai colloqui-intervista effettuati ad anziani ultranovantenni e centenari con alle spalle storie complesse e vite difficili, la gratuità emerge con chiarezza come fattore trasversale di longevità: “un saldo codice morale, un senso del dovere unito alla tendenza ad essere responsabili e affidabili, pronti a fare il bene anche nelle situazioni difficili che spesso hanno dovuto affrontare”.
Ne è esempio la storia della maestra Federica, morta a 102 anni, che ha sempre fatto il bene, anche quando non “pagava”, e che è stata modello di riferimento – anche da ultracentenaria – per la propria famiglia e per la propria comunità. Una grande anziana che ha vissuto fedelmente e sino alla fine il proprio lavoro come una missione da svolgere al meglio e con autorevolezza, con un bagaglio definito di valori e all’insegna della disponibilità verso gli altri.
E’ qui appunto la “marcia in più” della gratuità. Una dimensione e uno stile di vita che porta ad accostarsi agli altri mai in modo puramente strumentale e utilitaristico ; un modo nuovo di presentarsi, di comportarsi e prima ancora di pensarsi – l’evangelico “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.
Tale gratuità ad esempio ha fatto della vita dell’anziana Annunziata e di tanti grandi vecchi – pur vissuti in contesti di crescita problematici – esistenze generose, laboriose, totalmente dedite al bene altrui, ma anche pazienti, resistenti e resilienti.
Pensando a lei e a tanti grandi anziani si può parlare della gratuità come di una vera e propria arte, costruita negli anni, di investire tempo ed energie in profonde relazioni d’affetto interpersonali che salvano dalla grande e globale malattia del narcisismo.
La cultura della gratuità espressa da questi ultracentenari e da tanti anziani è stata spesso logorata ed estromessa negli ultimi decenni in occidente dalle scienze sociali e dalla vita pubblica, dal dibattito politico e dai media, in quanto incompatibile con il modello e la logica dell’economia capitalistica. Eppure, come diceva il Card. Carlo Maria Martini, “costituisce oggi la condizione elementare e fondamentale per continuare a vivere”, perchè scaturisce dalla consapevolezza che ognuno è legato ad un altro, che in un certo senso ne è parte costitutiva, e che quindi un comportamento va fatto non per la sua ricompensa o sanzione, ma perché è buono.
Tutti gli anziani e i centenari delle blue zone dichiarano infatti una profonda e significativa connessione familiare e sociale. E soprattutto una fede in qualcosa di più grande, una vita spirituale stabilmente coltivata, una grande ricerca e ricchezza interiore, che li aiuta ad avere motivazione e conforto nei momenti difficili della vita. Come dimostrano varie ricerche sul campo su tanti vecchi la forte motivazione, la spinta etica, un’esistenza votata al bene e alla cura degli altri e di sé stessi, condizionano positivamente la durata della loro vita, perché gli impulsi a perseguire valori positivi generano una positiva autopercezione e inoltre rafforzano la loro volontà di vivere con senso e facendo il bene.
Insomma chi persegue il bene vive di più e meglio.
Robert Waldinger, nel suo studio “The Good Life. Lezioni dallo studio scientifico sulla felicità più lungo al mondo” del 2023, afferma che le persone più felici, che sono rimaste più sane invecchiando e che hanno vissuto più a lungo sono quelle che avevano i legami più affettuosi con gli altri.
Gli ultracentenari e i grandi vecchi hanno compreso e realizzato molto bene nella loro vita concreta che quella gratuità – pur derisa e vista con sufficienza dal pensiero unico della ricerca spasmodica del massimo vantaggio per sè – ovvero il darsi una mano l’un l’altro, l’offrire bontà e aiuto senza ricompensa, è l’unica medicina in grado di guarire dalla infelicità indotta dalla logica eternamente insoddisfatta del mercato. Mostrano come la persona non possa realizzarsi senza il rapporto con gli altri, senza considerarsi e sentirsi parte di una comunità, recuperando così quei valori del buono, del vero, delle relazioni autentiche e della coesione sociale che sembrano collassare sotto la pressione dell’utile.
Entro il 2050, grazie ai i progressi della medicina e della farmacologia si prevede che il numero di persone di età superiore ai 65 anni aumenterà dal 9,4% al 16,5% della popolazione totale mondiale, gli ultraottantenni sfioreranno i 400 milioni, mentre i 500mila centenari del 2015 diventeranno 3,7 milioni . Una grande sfida demografica.
Ma, attraverso la cultura della gratuità degli anziani, anche una enorme sfida antropologica, culturale ed economica alla logica del calcolo e dell’accumulazione proprie del mercato, una proposta critica e radicalmente alternativa rispetto all’individualismo.
Infatti nel nostro tempo di prepotente dittatura globale del mercato neoliberale, dell’utile, dell’interesse e del profitto, dove tutto si commercia e si scambia, la gratuità di una lunga vita spesa viceversa fedelmente a un beneficio reso al prossimo (senza l’ossessione di ricevere il contraccambio) è una dimensione profondamente innovatrice ed eversiva. E anche una sfida epocale alla logica e alla cultura del mercato che lega la vecchiaia all’inutilità (economica e sociale), perchè smentisce l’assioma che ha qualcosa da offrire solo chi detiene beni materiali e che la solidarietà non vale perché non ha prezzo di mercato. Come ricorda l’economista Luca Stanca in una sua recente ricerca (che misura l’incommensurabile valore della gratuità), impegnarsi per gli altri dà invece felicità, anzi “più l’attività è gratuita e meno strumentale, tanto più il suo effetto è positivo” con un indice di soddisfazione superiore alla media. C’è una valenza antropologica dell’economia del dono: alla base stessa della felicità vi è la relazionalitá, la reciprocità, la gratuità, la felicità degli altri; persino il mercato – paradigma dell’interesse – può diventare luogo di felicità se inteso come luogo di reciprocità.
E la filosofa Benedetta Giovanola afferma che ogni attività economica è autentica solo se “produce” ricchezza antropologica nel soggetto, che entra nel processo economico con il suo bagaglio di esperienze e valori, relazionandosi con gli altri.
La cultura della gratuità degli anziani si pone quindi come l’espressione più genuina dell’essere, una sorgente creativa di vita, che – creando, alimentando e ricreando continuamente le radici affettive del legame con gli altri – trasforma il volto della terra. Una risorsa preziosa che può sciogliere i cuori inariditi e suscitare speranza nei giovani, in una nuova coesione antropocentrica e intergenerazionale che indica un futuro comune, all’insegna dell’umanità e della coesione sociale.
Gli anziani, con il loro “inattuale” bisogno di compagnia e di affetto, con la loro fragilità e la loro forza mite e pacifica, e con la generosa disponibilità di tempo, ascolto e cura, suggeriscono che la gratuità, se rifluisce nella società a livello globale, è un investimento che umanizza e fa progredire il mondo, perché lo libera dalle paure e dal senso di estraneità, e può rendere la vita unica e bella.
Una storia nuova e affascinante, ancora tutta da scrivere.
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