Proviamo a trarre un primo bilancio, seppur provvisorio di questa esperienza bellica in Ucraina.
di Luigi Casaretta
Mentre in queste ore, le notizie dal fronte ucraino rimbalzano di minuto in minuto, dove sembrerebbe che la capitale ucraina, Kiev, stia cedendo, stretta dall’assedio dalle truppe russe, con buona parte dell’armata ucraina resa inoperosa dopo un giorno di guerra, il presidente ucraino Zelensky, isolato e pronto a negoziare con i russi, sembrerebbe aprire all’ipotesi di un cessate il fuoco.
Possiamo così trarre già il primo bilancio, seppur provvisorio di questa esperienza bellica; naturalmente l’ondata di sdegno e di repulsione alla guerra ha inondato le strade ed i social occidentali, così anche le proteste sono state importanti anche nella stessa Russia, ma esse fanno solo da contorno sia alle operazioni militari russe che alle paventate sanzioni occidentali.
Sebbene la posizione della Nato e della UE sia logicamente giustificata dal fatto che l’Ucraina non appartenga né all’una né all’altra organizzazione, il casus belli evidenzia l’impossibilità per l’Occidente di poter controllare il mondo così come è stato dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica fino alla guerra in Afghanistan, e anche di poter esercitare un soft power, se non anche un potere ideologico come avvenuto durante tutta la guerra fredda. E’ plausibile che il mondo, nei confronti dell’Occidente, in particolare il continente africano, l’Asia ma anche parte dell’Europa orientale e del Sud America si senta contrariato da decenni di parole, sfruttamento e governi imposti sotto una veste “democratica”, di guerre al terrorismo risoltesi in un grosso affare economico o in un tonfo bellico.
L’esperienza russa ci conferma che anche nel XXI secolo la politica si fa ancora con le armi, con i soldi e le materie prime, prima ancora che con i cyber attacchi e che alle parole seguono i fatti ed ai fatti le conseguenze, che Putin ha messo in conto dopo questa operazione militare.
Chi crede che il tutto il mondo vada come va nelle tranquille città europee o nelle opulente città americane, chi crede che sia giusto e saggio solo ciò che proviene dal vecchio e dal nuovo continente commette lo stesso errore di presunzione dei colonialisti ottocenteschi che esportavano “civiltà” ai selvaggi.
Occorre guardare ad una realpolitik, ammettere che vi siano concorrenti forti e forgiati sotto un’altra dialettica, pronti a destabilizzare le fondamenta del mondo così come lo conosciamo dalla seconda guerra mondiale in poi; Cina, Russia, ma anche il mondo arabo, l’India, potrebbero essere portatori di proprie istanze, di propri modelli di società, che ammettono il conflitto come momento esplicativo dei loro interessi, interessi per altro portati avanti anche dall’Occidente seppur conditi da una insolente ipocrisia.
Quel grido di dolore, di aiuto, gridato da Zelensky ha trovato un mondo sordo; l’ONU, che fino a trent’anni fa avrebbe inviato subito caschi blu e ultimatum al paese aggressore, sembra non esistere più, l’Unione Europea si è scoperta ancora una volta debole e ricattabile e Putin lo sa; gli Stati Uniti sembrano essere diventati più pacifisti del solito, preoccupandosi di chiamare ogni tanto il presidente ucraino per assicurarsi sul suo stato di salute.
Comunque vada, la Russia avrà raggiunto il suo obiettivo, che domani potrebbe essere un altro stato, la Cina si sentirà legittimata ad invadere Taiwan e ad esercitare una forma di intromissione nei paesi confinanti, e chissà quale altra frizione tra stati potrà tramutarsi in scontro armato mentre noi nel nostro immobilismo, guarderemo dai nostri teleschermi la guerra pensandola come un fatto alieno alla nostra vita ed alla nostra società.