Tabù di Chiara Tortorelli
Tabù di Chiara Tortorelli è un libro sulle emozioni e sul loro rapporto con il tempo nella ricerca, talvolta ossessiva o addirittura disperata, di una fissità temporale delle emozioni che ne conservi il loro valore esistenziale, al di là della specifica e immediata fruizione occasionale. E in questa contrapposizione tra ciò che è naturalmente contingente, a motivo della fugacità dei sentimenti, e il flusso inarrestabile del tempo che si compie nelle storie di questo libro l’immancabile scoperta dei tabù, intesi come una forte proibizione a una determinata area di comportamenti e consuetudini, che è ritenuta in senso religioso e antropologico come sacra e proibita.
Il tabù è infatti, il divieto assoluto, immotivato e sacrale, di toccare, giudicare, criticare persone o cose, di non eseguire certe azioni o di non pronunciare certe parole. Le parole, infatti, sono un universo, e dietro di loro c’è un rito perduto di appartenenza, un giuramento inconscio che facciamo quando apprendiamo l’uso della parola.
E in questo libro, la rottura dei tabù si esprime anche nel particolare carattere compositivo della forma letteraria.
Importante il rapporto tra emozioni e tempo.
Per quanto riguarda le emozioni, la storia della filosofia morale occidentale, almeno fino alla modernità, è caratterizzata da un pensiero che enfatizza ed esalta la componente della ragione nel processo di presa di decisione e azione morale, mentre demonizza e scredita la componente emotiva, considerata opposta alla prima.
La moralità stessa è concepita come un sistema di principi coglibili astrattamente dalla ragione, laddove le emozioni vengono concepite come motivazioni che possono sovvertire la nostra decisione razionale.
Il più fecondo lascito che Nietzsche ha dato in dono alla filosofia novecentesca riguarda il ruolo svolto dalle emozioni, e più in generale il “peso” rivestito dalle tensioni corporee, nella definizione dei processi conoscitivi.
Le emozioni, come afferma Antonio Damasio nel testo “L’errore di Cartesio”, rappresentano la spinta per i processi conoscitivi.
Ma, come possiamo sperimentare frequentemente nella nostra vita quotidiana, le emozioni vengono “fagocitate dal mostro cognitivo”, diluite nel pensiero, perdono le proprietà e le funzioni che le caratterizzano.
Il tempo è la dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli eventi.
Esso induce la distinzione tra passato, presente e futuro.
La percezione del “tempo” è la presa di coscienza che la realtà di cui siamo parte si è materialmente modificata.
Se per Platone il tempo è “l‘immagine mobile dell’eternità”, per Aristotele, invece, è la misura del movimento secondo il “prima” e il “poi”, per cui lo spazio è strettamente necessario per definire il tempo.
Un grande contributo alla riflessione sul problema del tempo lo si deve al filosofo francese Henri Bergson il quale osserva che il tempo della fisica non coincide con quello della coscienza.
Questa premessa ci consente di comprendere i rapporti fra emozioni e tempo nella scrittura di Chiara Tortorelli.
Il libro parte dall’ossessione di Maurizio, lasciato da Marta senza un motivo da lui ritenuto valido, perché naturalmente le cose possono finire.
Maurizio non accetta la fugacità dei sentimenti e l’assenza di motivazioni valide sul piano dell’argomentazione razionale e nella sua angoscia esistenziale non riesce neppure a trattenere i ricordi così come vorrebbe, per cui per lui non finisce solo una storia d’amore ma anche la sua esistenza.
E solo l’improvviso SBRANG del libro che gli cade addosso, che provoca la fusione del suo corpo con il libro, con le sillabe, le parole, le frasi del libro, lo farà entrare nel labirinto delle stanze, legandolo indissolubilmente ad altre vite, ad altre storie concentriche dove forti emozioni, interrogativi senza risposte, un eros solo apparentemente saziante, storie di violenza e di follia, sono il luogo di un gioco di specchi in cui, in un andirivieni illogico, Maurizio e ciascuno di noi ci ritroviamo e ci perdiamo nell’angosciante consapevolezza di essere spesso ostaggi di una vita che non ci appartiene.
In particolare, mi hanno colpito le storie di due stanze.
Prima stanza “Lolita”
Manuela di 15 anni e i suoi amici, un poco più grandi Pietro, Giulio e Giorgio, trascorrono in un paese il mese di agosto. In una domenica di fine estate di sera, in un tempo che improvvisamente diviene sospeso, Manuela con la sua gonna lunga a zingara è protagonista per la prima volta con i suoi cari amici del gioco della seduzione. Manuela si sentiva padrona del loro desiderio. Si fidava e continuava a provocarli. Ma quel gioco del bacio dietro l’albero andò oltre il suo desiderio. I suoi amici le vennero addosso uno alla volta. E, durante questa violenza di gruppo, Manuela sperimentò che il corpo la tradiva, muovendosi nel piacere. Sentì in quei momenti la separazione tra testa e corpo, cuore e viscere. Due ore prima erano saliti in auto tre ragazzi e una ragazza, quattro amici ridenti e non curanti. Ritornarono in paese tre uomini e una donna, quattro estranei feriti dagli accadimenti che si interrogavano sul senso delle cose.
In questa storia il tempo è protagonista di un devastante cambiamento.
Manuela ritorna ogni primavera in quel paese. Dopo tanti anni non ci sono più i suoi amici, sulla sua casa oramai abbandonata l’edera cresce sul balcone. Lei ritorna sempre su quel prato, in quel punto preciso dove è diventata donna. Ci ritorna dopo tanti anni con sua figlia. E lì ancora una volta, come ogni volta, verso mezzogiorno il tempo sembra prima fermarsi e poi va indietro, le lancette girando all’incontrario, indietro sempre più indietro e improvvisamente su quella collina si fa sera e Manuela li rivede quei tre ragazzi e la ragazza con la gonna lunga a zingara, pieni di entusiasmo e di vertigine, che giocano e si nascondono dietro l’albero e infine fanno sesso alla luce della luna. E’ tutto conservato nella stanza polverosa dei suoi 15 anni. Poi l’orologio riprende a girare in avanti e Manuela e la figlia, scese dall’auto, si accovacciano con l’orecchio sul terreno ad ascoltare il vento.
“Ascolta Egle , ascolta cosa ti dice il vento…” sussurra Manuela alla figlia.
È l’ascolto di sensazioni nell’attesa di composizione di nuove e impossibili emozioni.
Terza stanza “L’incontro”.
Ad Alesandro, che ha incontrato sul Frecciarossa Milano-Roma, la protagonista dice “Ho paura della morte” e al suo perché risponde -“Non di quando sei già morto, è il passaggio che mi spaventa, l’attimo prima, quando senti che stai andando via… mi spaventa l’ignoto, il salto nel buio…”-.
Qui viene infranto il tabù della morte.
L’attimo prima della morte è un tabù, è un’ emozione angosciante che ci prende quando pensiamo all’ultimo fotogramma della nostra vita, su che cosa e chi resterà per un ultimo attimo impresso prima dell’uscita di scena.
Forse vorremmo che fosse impressa l’immagine di una persona o di una vicenda che appartiene alla vita ordinaria ma è anche possibile che sia la persona di una vita parallela e straordinaria ad accompagnarci nel congedarci da questa vita. Sarà l’ultimo tabù, forse il più caro.
di Lucio Rufolo