Da pochi giorni è ricorso il 40° anniversario della nascita dell’Auditel, società che raccoglie e pubblica i dati sull’ascolto televisivo italiano, nata per rispondere a una crescente esigenza di raccogliere dati precisi, imparziali e standardizzati riguardanti l’ascolto televisivo stesso.
Ma Auditel, oltre a essere un elemento fondamentale per il mercato televisivo e pubblicitario, ha avuto un’influenza profonda e diffusa sul piano sociale e culturale in Italia, in quanto – oltre alla misurazione degli ascolti – documenta e offre una panoramica dei cambiamenti profondi che hanno segnato le abitudini quotidiane degli italiani, le trasformazioni nei modelli di consumo, nei comportamenti individuali e collettivi, e nei modi in cui i cittadini italiani interagiscono con i media.
La televisione, come medium di massa, dagli anni ’50 è stata da sempre un punto di riferimento per l’identità collettiva del paese, e attraverso i dati raccolti, è stato possibile osservare come le diverse generazioni si siano approcciante ad essa e in che modo l’evoluzione tecnologica abbia trasformato il panorama della fruizione dei contenuti.
Infatti, se fino agli anni ’90, la visione della televisione era un’attività prevalentemente collettiva, con una fruizione condivisa che vedeva la famiglia italiana riunita davanti a un unico schermo (dove un programma o un evento televisivo poteva coinvolgere e unire diverse generazioni), con l’introduzione di nuovi dispositivi tecnologici, come i decoder digitali, le smart TV e i dispositivi mobili, il consumo televisivo è radicalmente cambiato. Si è passati da un’esperienza condivisa a una sempre più individualizzata, dove ognuno può scegliere cosa guardare, quando farlo e da quale dispositivo; ciò ha avuto un impatto significativo non solo sulle abitudini di visione, ma anche sulle dinamiche sociali familiari, dove la televisione ha perso il suo ruolo centrale come strumento di aggregazione sociale.
Anche questo testimonia l’evoluzione della società: grazie alla diffusione dei dispositivi mobili e delle smart TV, le abitudini degli italiani sono cambiate radicalmente, con un crescente spostamento verso forme di consumo più personalizzate e orientate all’on-demand, che rispondono ai desideri e alle preferenze individuali piuttosto che a una programmazione centralizzata.
A partire dal 2010, i dati Auditel hanno cominciato a registrare un fenomeno crescente di visione “fragmentata”, con gli spettatori che non si limitano più a seguire la programmazione tradizionale, ma fruiscono dei contenuti in modo disgiunto, spesso in orari differenti e anche fuori casa.
In particolare l’introduzione della televisione digitale in Italia ha segnato una vera e propria rivoluzione, non solo sotto il profilo tecnologico ma anche culturale, comportando una radicale trasformazione nell’offerta televisiva, portando alla nascita di numerosi canali tematici che coprono ogni possibile nicchia di interesse. Contestualmente, la crescente diffusione delle piattaforme di streaming, come Netflix, Amazon Prime Video, Disney+, e altre, ha ampliato enormemente l’orizzonte dell’intrattenimento, consentendo agli utenti di scegliere non solo cosa guardare, ma anche quando farlo e su quali dispositivi. Questi servizi OTT (Over-The-Top) hanno ridotto i confini tradizionali della televisione, abbattendo le barriere temporali e geografiche che avevano storicamente definito l’esperienza di visione televisiva.
La frammentazione e individualizzazione dell’offerta televisiva risponde a un preciso trend della cultura socio-demografica del pubblico: la differenziazione nelle abitudini di visione in base a fattori quali età, genere, localizzazione geografica e livello socio-economico.
Ma anche, mettendo in relazione i dati sull’audience con tendenze sociali, economiche e culturali più generali, è stato possibile osservare come eventi globali quali la pandemia di COVID-19 abbiano influito sui modelli di consumo televisivo. Durante i periodi di lockdown, c’è stato un aumento del tempo trascorso davanti alla televisione e dei contenuti on-demand e, grazie alle piattaforme digitali, un’accelerazione nell’adozione di nuovi modelli di fruizione dei contenuti.
In questo contesto, i dati Auditel offrono un’analisi precisa non solo per le aziende del settore pubblicitario, ma anche per chi vuole studiare e analizzare le trasformazioni culturali e sociali in atto in atto nella società, e costituiscono anche una finestra importante sulle tendenze sociali, influenzando le politiche e le strategie di comunicazione a livello nazionale.
Al di là delle diffuse, accurate e motivate critiche di tanti a questo strumento, definito “bluff dei dati di ascolto” – e Renzo Arbore ha parlato pochi mesi fa di “dittatura dell’Auditel che affligge chi fa televisione e chi la guarda” -, resta una domanda aperta su dove vada l’interesse della società rispetto ai media e alle loro programmazioni.
Sarebbe interessante ad esempio verificare se tutta quella tivù spazzatura che ci viene propinata sia davvero – come replicano solerti i responsabili delle programmazioni – “quella che il pubblico vuole”.