Mentre la Germania solo nell’ultimo mese si è accorta che il capitalismo mercantilistico è una cane che si morde la coda e il governo tecnico italiano si arrovella a spiegare ai cittadini quali differenze sostanziali vi sono tra precarietà e flessibilità del lavoro, e come l’abolizione dell’articolo 18 aumenti il numero delle assunzioni, il tasso di disoccupazione giovanile per il nostro paese è fermo al 44,2% e non stenta significativamente a decrescere. Quale sarà il problema? La corruzione? La malavita? La crisi mondiale?
Sicuramente il problema non ha un unica causa ma, sicuramente, se la media della disoccupazione europea è al 12,3%, dove in media i paesi dell’Europa meridionale oscillano tutti intorno al doppio della disoccupazione che invece si rileva in Germania, non è che il problema sia solo un problema italiano (o dei paesi che “non fanno i compiti a casa”), ma affonda radici nell’annosa questione dell’impossibilità di prendere decisioni per sé e per l’Europa in una Europa dove c’è una moneta unica ma non un unico popolo europeo che decida per sé. Ragion per cui vince sempre chi ha l’economia giusta per la moneta giusta, o almeno fino a quando il sistema mercantilistico si rompe.
L’Istituto Nazionale di Statistica ci informa che il totale dei senza lavoro è circa di tre milioni di individui, di cui 710 mila (intorno ai 25 anni di età) accumulano frustrazioni su frustrazioni per impieghi che non si trovano.
Come se non bastasse l’ISTAT ,paragonando i dati empirici, ci notifica che siamo ritornati 37 anni indietro e che, molto probabilmente, secondo anche i ricercatori del Cnel, non arriveremo mai più ai livelli di occupazione precedenti a quelli del 2008. Nel giro di un anno abbiamo perso 88 mila occupati compresi tra i 15 e i 25 anni di età, mentre i grafici ci dicono che rispetto ad agosto l’occupazione è aumentata dello 0,7%.
Stenta ancora a farsi strada nei corridori di Bruxelles una reale ipotesi di riforma europea del lavoro che permetta ai lavoratori di spostarsi facilmente, e senza frontiere invalicabili, dai paesi in deficit a quelli in surplus. Non parliamo di una riforma fiscale, in quanto tasse europee per ora sono impossibili addirittura sognarle.
Potrebbe la disoccupazione italiana ridursi se fosse possibile ricostruire un circolo virtuoso che consenta di trasferire salari dalle grasse terre del nord europeo verso quelle meridionali?
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