Il fantasma tutto Italiano dell’estate 2013: l’aumento dell’IVA

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di Dario Garofalo

In questi giorni si sta inasprendo il dibattito sull’aumento dell’IVA dal 21 al 22%, invocato dall’ex premier Monti per luglio, smentito da Letta e slittato probabilmente a dicembre stando alle ultime parole del Ministro Lupi. Cerchiamo di far capire ai nostri lettori che non masticano l’economia cosa significa.

Prima di tutto, l’IVA è un’imposta, cioè si applica passivamente, mentre le tasse si applicano attivamente. In pratica quello che verso allo stato per il mio reddito è un’imposta (come reddito si intende sia beni materiali che finanziari), mentre quando utilizzo un servizio pago una tassa. La differenza è che l’imposta la paghiamo sempre, la tassa soltanto quando usiamo una determinata prestazione (ad esempio, le bollette dell’acqua e del gas).

L’IVA (Imposta Valore Aggiunto), essendo un ricarico sui prezzi dei beni, diventa quindi un’imposta sul reddito, in quanto i beni colpiti fanno anche parte di questo. Tale imposta colpisce in base allo scambio, quindi minori sono le transazioni, meno graverà. Gli scambi sono evitabili fino ad un certo punto, in quanto una famiglia (o un cittadino medio) ha bisogno di X risorse giornaliere che gli garantiscano se non la sopravvivenza, almeno un tenore di vita civile.

Tale individuo si ritroverà, in base alle politiche economiche degli enti pubblici o privati, a spendere una parte del suo reddito per approvvigionarsi questi beni, quello che gli rimarrà viene definito “surplus del consumatore – Cs” (indirettamente quindi, esisterà un surplus del produttore – Ps), entrambi i surplus danno origine al Welfare (Cs+Ps=W), cioè il benessere della società.

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Dove S è l’offerta, D la domanda, p* il prezzo generico dei beni e q* la quantità genericamente scambiata dei beni. Le aree evidenziate rappresentano insieme il welfare, più è ampio questo spazio e più il benessere materiale della società è assicurato, trattiamo qui però di un caso totalmente esente da imposta. Andiamo però a vedere cosa succede quando si introduce un’imposta come l’IVA (che chiameremo “T”).

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Dalla prima situazione di equilibrio di mercato abbiamo aggiunto l’imposta T, la curva di offerta si è alzata con conseguente innalzamento del prezzo percepito dal consumatore (p1) riducendo quindi l’area verde sopracitata. Sulla stessa direttrice possiamo notare che il produttore ha dovuto abbassare il prezzo, eliminando una grossa fetta del suo surplus (area azzurra), la differenza fra entrambe le aree dà origine all’area gialla, che indica il gettito tributario (cioè le famose entrate dello stato) mentre l’area grigia è una semplice perdita di welfare.

Con questo semplice esempio si vuol soltanto dimostrare che alzando l’aliquota iva si otterrà semplicemente l’ulteriore sollevamento della direttrice S di offerta, quindi aumento dei prezzi e riduzione dei vari surplus con conseguente diminuzione delle quantità scambiate (q1, cioè, meno merce sul mercato quindi meno cittadini soddisfatti).

Sia ben chiaro che il mio schema è semplificato per ragioni di comunicazione, ma in sostanza è la spiegazione con dimostrazione matematica del danno che potrebbe portare ai cittadini questo aumento. Le domande che conseguono sono prevedibili ma lecite. Vediamo di dargli una risposta.

È una misura efficace per combattere la crisi?

Non in un’economia di mercato come la nostra, dove la quantità di merce scambiata, siano essi beni o servizi, garantisce la prosperità della nazione aumentando il benessere ed anche il lavoro, oltretutto far circolare sapientemente il denaro con la giusta quantità di beni regolarizza l’inflazione, cosa che invece non accade quando i beni diminuiscono e le masse monetarie aumentano.

Dove trovare allora i soldi senza aumentare le imposte? O addirittura diminuirle?

Ci sarebbero i costi della politica, la mala gestione della pubblica amministrazione (anche solo privatizzare la RAI diminuirebbe la pressione fiscale di quasi due miliardi di euro all’anno), le soluzioni ci sono, ma ci sarebbe da approfondire troppo.

Ed i nostri politici?

I rappresentanti del popolo potrebbero sapere che una decisione del genere attenterebbe al già precario tenore di vita dei cittadini, in tal caso si comporterebbero come se fossero in mala fede. Altrimenti, potrebbero essere all’oscuro dei modelli su cui si basa l’economia del loro paese, o non riuscire ad attuare altre soluzioni come quelle sopracitate, in questo caso si tratterebbe di inettitudine.

Sta di fatto che loro amano andare in TV con la loro bella cartellina poggiata sul ginocchio, piena di cifre degli scorsi anni del loro governo o di quello degli avversari, impelagati in giustificazioni contorte degne da girone dei bugiardi (o degli ingordi), intanto, invece di far forza contro le difficoltà di questo periodo ritrovando una coesione nazionale e popolare di mutuo sostegno, passa solo il messaggio della disperazione e dell’abbandono, l’attitudine mentale è quella della sconfitta e ciò viene comunicato. Così facendo non attuano altro che un suicidio assistito, o un collaborazionismo verso la depressione collettiva che sta portando la gente al tracollo sia finanziario che morale, riempiendo la cronaca nera.

La violenza contro di loro invece no, quella la condannano aspramente, e dopo avergli fatto passare la catarsi stanno bene accorti che non se ne parli più, strategia degna di Orwell.