Ancora una volta di fronte all’indifferenza disarmante di un’Europa politica inesistente, che, pur riconoscendo quei vuoti, quei margini di invisibilità dell’umano tra i trattati europei, la dichiarazione dei diritti umani e il diritto internazionale, non opera scelte condivise sul problema dell’immigrazione, dell’umanità migrante, ostinandosi a non cogliere l’opportunità offertaci da questi lavoratori d’oltremare di poter ripensare su basi effettive e di ospitalità una nuova Europa possibile, si manifesta la più assoluta situazione di impotenza e disorientamento.
Senza parte, invisibili, “inumani” sono divenuti i migranti, fuoriusciti dall’ombrello di quelle tutele che oggi, più che mai, sono messe in discussione anche nei confronti dei “cittadini europei”. E allora cosa succede? Succede che a queste vittime non rimane che elaborare il lutto per i propri cari, i quali scelgono di migrare per ritornare a vivere, ma muoiono durante il viaggio, abbandonati a loro stessi.
Per avvicinare le nostre coscienze a coloro che come noi, italiani, migrano di paese in paese rischiando la vita e morendo, interroghiamoci su questi lutti e su cosa sia il lutto dei migranti. Che cosa è un lutto, come si elabora, cosa fa provare? Elaborare un lutto che ci riguarda da vicino non è facile. Specie se a morire è un figlio, una madre, un padre. Ci si sente persi, melanconici, rapiti da una dimensione irreale e concreta allo stesso tempo, ci si sente rapiti e sradicati da una sofferenza mortificante. Ecco il dolore che credi non passerà mai, che forse ti ucciderà, che ritieni di non poter sopportare e allora se non ti uccide, lo sfoghi, piangi, ti arrabbi. Mi ricordo il dolore di quando è morta mia madre, impensabile fino ad allora, insopportabile. E la sua assenza che si fa sentire in molti momenti ancora lo scatena.
Ricordo di un film che vidi poco dopo, “La stanza del figlio” di Moretti, il quale mi costrinse a rivivere nuovamente quel dolore, a riflettere, ad elaborare. Partire da una esperienza personale per compatire, partecipare, sentire e immaginare, avvicinandosi con empatia alle emozioni, ai dolori altrui, come se fossero, ancora una volta, nostri. Ecco cosa hanno di diverso le famiglie dei migranti che arrivano in quelle carrette sgangherate: sono migranti come noi, eppure non possono come noi soffrire ed elaborare alla stessa maniera il loro lutto, essere partecipati e sostenuti dagli altri nel loro dolore?
Un corpo gonfio di acqua, rimasto in mare per ore,una carcassa irriconoscibile e senza nome. Un viaggio della speranza disattesa. La speranza tramutatasi in finale tragico, sicuramente inaspettato.
L’Europa dei trattati, dei boriosi concetti inapplicati, ancora una volta tratta questi lutti, questo dolore con un’enfasi romanzesca, un’asettica e mediatica teatralizzazione del lutto, del dolore: “ci dispiace della morte, si metteranno a disposizione delle bare, ci si commuoverà perché trai morti c’era una madre incinta, un bambino di tre anni”; e poi? Poi si ritorna alla routine fatta di umanità invisibili, irriconoscibile dei cadaveri nelle acque internazionali o alla tratta degli esseri umani. Quando ammetteremo che tutto ciò è sintomo palese di un’Europa inumana e inesistente?.
Finora non ho nemmeno sentito disapprovazione di nessun organismo internazionale rispetto a queste vicende. Nessuno sdegno credibile per chi ha toccato con mano queste irrealtà del lutto, questa concreta e profonda sofferenza.
Non vi annoio con un report di numeri, trasformando questo scritto in un editoriale sterile, potrei dirvi, invece, del manifesto fatto affiggere dall’associazione (che si occupa da ben 25 anni in maniera seria e responsabile di assistenza agli immigrati) “JERRY ESSAN MASSLO”, inchiodato dal suo presidente, Renato Natale. Una difficile e onesta dichiarazione di sconfitta, una partecipazione al lutto di più di 25.000 migranti.
Cosa ci fa essere così indifferenti a questa problematica da trattarla come passeggera? La mancata coscienza di un’appartenenza comune? Cosa ci rende così indifferenti da non voler vedere l’umanità nel migrante, da non riconoscere un corpo degno di ospitalità? Perché saliamo sempre sul piedistallo dell’occidentale bianco privilegiato, guardando sempre tutto da lontano e mai immergendoci realmente in un mondo che arrivando qui da noi, fa solo una richiesta di aiuto?
Non possiamo più solo affidarci a chi riesce invece ancora ad ascoltare le voci di queste persone e ad aiutarle tra mille difficoltà ogni giorno. Non possiamo più regalargli una bara e due fiori per sentirci la coscienza a posto. Non possiamo continuare a trattare l’argomento così superficialmente. Qui si sta violando ciò che è umano, qua umano.
Qui ci vuole ben altro che due servizi al Tg è un po’ di commozione, occorre un serio intervento politico nazionale ed internazionale oltre il diritto e i vuoti trattati europei, capaci di rappresentare l’Europa migrante, l’Europa dei migranti e dell’ospitalità. Non bastano più i mi dispiace ufficiali, le condoglianze fittizie, il dispiacere a termine, ne abbiamo abbastanza! Qui si sta “RESTANDO DISUMANI”, senza appello. C’è bisogno di rispettare la dignità dell’umano e con ciò di offrire anche agli invisibili la possibilità di elaborare il proprio lutto.
di Paola Cipolletta
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