Il paradosso di FNAC, monopolista che chiude lasciando le macerie della cultura (ma anche dei diritti).

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di Marco Ehlardo

In principio era il Vomero, quartiere collinare, benestante, borghese e progressista.

Un quartiere fortemente commerciale, dove ad ogni strada incontravi un negozio che vendeva (e in questo caso diffondeva) cultura.

Ricordo, da appassionato verace di musica, i piccoli negozi di dischi, Top Music a via Merliani su tutti, la breve ma intensa esperienza di Flying Records, e piccoli store un po’ dappertutto, dove potevi trovare quasi tutto.

E poi le librerie, tante e di tutti i tipi.

Guida Merliani innanzitutto; negli anni ero diventato amico anche di uno dei lavoratori storici, per cui mi sentivo doppiamente a casa mia.

l’Internazionale, il cui nome la illustrava meglio di un qualsiasi catalogo.

Un giorno comincia a girare una voce: al Vomero arriverà FNAC. Confesso tutto il mio entusiasmo e la mia eccitazione; una catena così importante, in grado di portare esperienze nuove, un nuovo arricchimento per la cultura nel quartiere.

Non potevo essere più miope.

FNAC in breve tempo è significato tutto: musica (in particolare per il mio genere preferito, trovavo tutto quello che altrove non avevo mai trovato), libreria (non fornitissima come Guida, ma sufficientemente estesa), elettronica, e tanto tanto altro.

Ma anche eventi culturali al suo interno, quando a Napoli la Feltrinelli queste cose era lontana dal farlo.

Ma, purtroppo, è significato anche la morte degli altri esercizi commerciali concorrenti, per chi lenta (Guida) e per chi velocissima (Top Music e tutti i piccoli negozi di dischi).

Oggi arriviamo all’estremo paradosso: dopo aver raso al suolo tutte le esperienze concorrenti, quelle che avevano costituto il tessuto culturale del quartiere, ed aver raggiunto una posizione di sostanziale monopolio (le ha resistito solo Loffredo nella Galleria Vanvitelli), FNAC chiude.

Perché? Scelta strategica a quanto pare, non sembra ci fossero grossi problemi di sostenibilità economica.

Una scelta che completa la definitiva connotazione commerciale ‘moderna’ del Vomero; niente piccoli esercizi alimentari, niente piccoli (e grandi, a sto punto) esercizi culturali, progressiva chiusura di cinema e teatri ( da poco è toccato anche all’Acacia), è diventato un susseguirsi di banche, concessionarie auto, franchising di grandi firme nazionali e internazionali.

La borghesia progressista si trasforma in quella sempre più tipica del nostro Paese, che punta solo a se stessa, che se ne importa poco o nulla di responsabilità sociale, che trasforma Paesi e quartieri a propria immagine.

Non è un caso che di vomeresi al Vomero se ne incontrano sempre meno. Ormai ci può vivere solo chi di soldi ne ha già e tanti, gli altri emigrano verso la provincia o verso i pochi quartieri napoletani ancora accessibili.

Anche in questo la sinistra cittadina dimostra tutte le sue incapacità di progettazione a medio termine. Non mi meraviglierò che anche la storica prevalenza della sinistra al Vomero prima o poi finirà per allinearlo al conservatorismo più becero del suo quartiere ‘fratello’ ma nobiliare, Chiaia.

Ma FNAC non si porta via solo la cultura.

FNAC era anche un rarissimo esempio di esercizio commerciale sindacalizzato (credo forse l’unico assieme a COIN) non solo del quartiere ma della città.

Ricordo un episodio su questo che mi colpì molto all’epoca.

Era la prima notte bianca, tutti i negozi del Vomero restavano aperti; tutti tranne uno, FNAC. Mi dissero che i lavoratori, riuniti nel sindacato, non avevano trovato un accordo con l’azienda per gli straordinari dovuti per quell’apertura notturna, per cui l’azienda non poté tenere aperto.

Mi sembrò un esempio di straordinaria civiltà del lavoro. Conoscevo persone che lavoravano come commessi nei negozi del quartiere, a nero, senza contratto e senza diritti. Nessuno gli aveva chiesto se volessero o meno lavorare anche quella notte, e di sicuro niente straordinari in quel caso.

E mi arrabbiai anche molto a leggere l’intervista dell’allora Assessore al Commercio che si lamentava del fatto che FNAC avesse deciso di non aprire. Gravissimo, soprattutto perché l’assessore era del PRC, ergo teoricamente ‘comunista’ e dalla parte dei lavoratori. Uno degli esempi di come la sinistra in città sia stata e sia in buona parte quello che è ora.

La chiusura di FNAC è allora anche una ulteriore perdita dei diritti per i lavoratori del quartiere e della città.

Il trionfo di un modello contro il quale nessuno lotta più.