“Il Conservatorio di San Pietro a Majella è un luogo sacro, che non appartiene solo a Napoli ma al mondo intero, all’umanità”. Un patrimonio da amare, tutelare e sponsorizzare. Un luogo che conserva e alimenta l’intera cultura di un popolo che, sulla musica, ha fondato buona parte della propria identità. San Pietro a Majella è un’istituzione, la culla della musica a Napoli, e come tale va preservato. Lo sa bene Riccardo Muti, che proprio nelle sale di San Pietro a Majella ha mosso i suoi primi passi come musicista prima e come direttore d’orchestra poi. Oggi Riccardo Muti torna al Conservatorio di Napoli per ricevere una grande onorificenza: l’intitolazione dell’ex foyer della sala Scarlatti, che da oggi porta il suo nome.
La visita del maestro tra commozione e ricordi.
Un’occasione per visitare quelle stanze che l’hanno accolto da studente, tra il 1957 e il 1962, anno in cui proprio nella sala Scarlatti diresse il suo primo concerto, ma anche per commuoversi davanti ai ricordi e allo stesso tempo indignarsi per la scarsa considerazione che oggi il governo italiano riserva alla cultura. “Se negli Stati Uniti esistesse un luogo in cui è custodito un decimo di quello che c’è a San Pietro a Majella” afferma con forza il maestro, che da qualche anno vive a Chicago, dove dirige la Chicago Symphony Orchestra, “quel luogo riceverebbe il massimo delle attenzioni. Tutti ne avrebbero il massimo rispetto, tutto il mondo ne sarebbe a conoscenza”. Invece in Italia siamo a stento consapevoli dei tesori che il conservatorio di Napoli custodisce.
I tesori nascosti di San Pietro a Majella.
Tesori come l’arpa di Stradivari, o la sedia di Wagner, o gli innumerevoli autografi dei musicisti che hanno fatto la storia della musica classica dell’intero Occidente. C’è un mondo nascosto in quelle sale, tra le mura di San Pietro a Majella, di cui la maggior parte di noi ignora l’esistenza. Nonostante le porte del conservatorio siano aperte a chiunque voglia visitarlo. E’ un appello accorato quello del maestro, non soltanto per la città che gli ha dato i natali e per il Conservatorio a cui è indissolubilmente legato, ma per la musica in generale. “La musica è rapimento. Non è una questione di comprensione. Se ne può comprendere l’architettura: i timbri, le armonie, i contrappunti. Ma questo spetta al musicista professionista nel momento in cui la esegue. Chi ascolta può solo farsi rapire da quel mistero che c’è tra una nota e l’altra. E che non potrà mai essere svelato”.