Maurizio de Giovanni sa esattamente di cosa hanno bisogno i lettori, e questo non significa orientare la storia al lieto fine ma essere abile mago del ritmo, con una scrittura che è un meraviglioso “sbalzo”. Lui prende la vita e la cesella, e così il suo ingranaggio fatto di alternanza di suoni, immagini e colori diventa l’espressione alta del mestiere di scrivere. Sa come orientare la forma del flusso liquido delle parole, lasciandole andare nel posto preciso in cui vogliono andare. Orpelli mentali non ne fa, e non ne fa fare, perché sa bene che a volte la ricerca della parola può dar vita ad inutili lungaggini o a elucubrazioni insostenibili che non portano da nessuna parte, a nessun significato. Lui scava, perché parte dal cuore e arriva a bucare, a raschiare nel petto di chi legge. Tutta l’immaginazione, la sua natura nella luce e nel buio, vedono la sublimazione nella creazione delle sue storie.
Maggio fa rima con coraggio. È un trampolino verso la luce, il tepore, i colori; non solo per la natura ma per le vite. Un penultimo abbraccio di Ricciardi che chiaramente segna il colpo di coda per ogni storia che persiste, prima dell’epilogo per tutti. Confessione è liberazione egoistica, e con la sua solita delicatezza ci fa percepire i sentimenti sulla pelle con lo stesso andamento delle montagne russe.
Una costruzione ovviamente perfetta, ma quello è mestiere, è tecnica. Tutti sappiamo che esistono delle regole nella scrittura, ma lui non ha solo scritto meravigliosamente bene, perché è fluido, poetico, alterna ritmi. Le sue parole sono volutamente discrete e prepotentemente evocative, e in questo ci ha messo il meglio di se, di ciò che lui è.
Un Purgatorio che potremmo definire cinematografico; una scelta di un linguaggio descrittivo di scene e di passaggi caratterizzati da un movimento così realistico e fotografico da sembrare veri. Lo stesso vale per i personaggi, perché analizza gli stati d’animo e le interazioni prima di tutto col cuore, e raccontare le dinamiche del cuore con tale delicatezza, in un genere che potrebbe prescindere da questa, è davvero una scelta finissima. Lui dipinge con le parole, senza spigolosità, come farebbe Margaret Atwood. Dipinge pure col cuore, però. E per questo è uguale solo a se stesso.
Non è semplicemente il romanzo della confessione, ma soprattutto della menzogna e della compassione. Senza compassione dell’altro non ci si può liberare dalla menzogna o del peso di ciò che si nasconde. La confessione è solo una conseguenza. Onesto col lettore ma spietato nella costruzione della parte gialla, inimmaginabili e forti le evoluzioni delle storie dei personaggi principali. Maurizio de Giovanni in questo Purgatorio voleva che i lettori si preparassero alla fine di una storia della durata di dodici storie. Il trampolino era anche per chi legge, e ci è riuscito. Leggendo questo romanzo si esce dall’ultima pagina con un senso di perdita, nonostante molte conquiste verso le quali si avviano i personaggi. È per questo che non vediamo l’ora che arrivi l’ultimo abbraccio del commissario dagli occhi verdi.
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This post was published on Lug 2, 2018 11:11
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