Giancarlo Siani a settembre avrebbe dovuto compiere 56 anni. Giancarlo Siani, sarebbe dovuto essere uno di quei giornalisti che il resto d’Italia, ma, forse, del mondo, invidia a Napoli. E, chissà, forse l’Italia e il mondo li avrebbe girati, con le sue inchieste e i suoi articoli. Quelli che firmava con mano ferma e a testa alta. Ma non perchè avesse mai scelto di essere un eroe o il simbolo della lotta alla camorra. Bensì perchè era ciò che andava fatto. Perchè lui, citando il bellissimo film a lui dedicato da Marco Risi, “Fortapasc”, era, molto semplicemente, un “giornalista giornalista”.
Giancarlo Siani ricordato oggi al PAN durante il corso di formazione promosso dall’Ordine dei Giornalisti e dalla Fondazione Polis
E proprio facendo quello che amava fare è morto. Anzi, è stato ammazzato. Ucciso, firmando da solo la sua condanna a morte. Sotto forma di un articolo di quattromila battute, pubblicato da Il Mattino proprio il 10 giugno del 1985. 30 anni fa esatti. Ed è stato ricordato proprio oggi, al PAN, durante il corso di formazione “In viaggio con la Mehari di Giancarlo Siani”. Promosso dall’Ordine dei Giornalisti della Campania e dalla Fondazione Polis della Regione Campania per le vittime innocenti della criminalità e i beni confiscati. L’iniziativa rientrava nell’ambito del Protocollo di Intesa sottoscritto dai due enti promotori nel novembre del 2012, che annovera, tra i punti qualificanti, la sensibilizzazione a mezzo stampa alla cultura della legalità, a partire dai temi delle vittime di criminalità e dei beni confiscati alla camorra, e il monitoraggio della grave piaga dei cronisti minacciati, in collaborazione con l’osservatorio “Ossigeno per l’Informazione”.
A introdurre i lavori, il presidente dell’Ordine Ottavio Lucarelli e Geppino Fiorenza della Fondazione Polis, guidata da Paolo Siani. Sono intervenuti la cronista de “Il Mattino” Daniela Limoncelli, il vicepresidente della Fondazione Polis e vicario episcopale per la Carità e la Pastorale Sociale della Diocesi di Napoli don Tonino Palmese, il segretario generale e il responsabile della comunicazione della stessa Fondazione, rispettivamente Enrico Tedesco e Salvatore Buglione.
Il 10 giugno 1985 l’uscita dell’articolo sull’arresto di Valentino Gionta che decretò la condanna a morte di Giancarlo Siani
Una data, quindi, che è diventata un po’ un simbolo. Perchè, chissà, magari quel giorno Giancarlo si sentiva anche fiero di aver contribuito a diramare l’intricata matassa della camorra dopo l’arresto del boss di Torre Annunziata, Valentino Gionta. Nell’articolo di Giancarlo Siani, definito come “il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di «Nuova famiglia», i Bardellino”. E furono proprio i due sicari dei Nuvoletta a premere il grilletto contro di lui, nella sera del 23 settembre 1985, poco più di tre mesi dopo dall’uscita del pezzo, per farla pagare al “giornalista giornalista”. Colpevole solo di aver scritto e firmato questo articolo:
Potrebbe cambiare la geografia della camorra dopo l’arresto del super latitante Valentino Gionta. Già da tempo, negli ambienti della mala organizzata e nello stesso clan dei Valentini di Torre Annunziata si temeva che il boss venisse «scaricato», ucciso o arrestato.
Il boss della Nuova famiglia che era riuscito a creare un vero e proprio impero della camorra nell’area vesuviana, è stato trasferito al carcere di Poggioreale subito dopo la cattura a Marano l’altro pomeriggio. Verrà interrogato da più magistrati in relazione ai diversi ordini e mandati di cattura che ha accumulato in questi anni. I maggiori interrogativi dovranno essere chiariti, però, dal giudice Guglielmo Palmeri, che si sta occupando dei retroscena della strage di Sant’Alessandro.
Dopo il 26 agosto dell’anno scorso il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di «Nuova famiglia», i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del super latitante che proprio nella zona di Marano, area d’influenza dei Nuvoletta, aveva creduto di trovare rifugio. Ma il boss di Torre Annunziata, negli ultimi anni, aveva voluto «strafare».
La sua ascesa tra il 1981 e il 1982: gli anni della lotta con la «Nuova camorra organizzata» di Raffaele Cutolo. L’11 settembre 1981 a Torre Annunziata vengono eliminati gli ultimi due capizona di Cutolo nell’area vesuviana, Salvatore Montella e Carlo Umberto Cirillo. Da boss indiscusso del contrabbando di sigarette (un affare di miliardi e con la possibilità di avere a disposizione un elevato numero di gregari) Gionta riesce a conquistare il controllo del mercato ittico.
Con una cooperativa, la Do. Gi. pesca (figura la moglie Gemma Donnarumma), mette le mani su interessi di miliardi. È la prima pietra della vera e propria holding che riuscirà a ingrandire negli anni successivi. Come «ambulante ittico», con questa qualifica è iscritto alla Camera di Commercio dal ‘68, fa diversi viaggi in Sicilia dove stabilisce contatti con la mafia. Per chi può disporre di alcune navi per il contrabbando di sigarette (una viene sequestrata a giugno al largo della Grecia, un’altra nelle acque di Capri) non è difficile controllare anche il mercato della droga.
È proprio il traffico dell’eroina uno degli elementi di conflitto con gli altri clan in particolare con gli uomini di Bardellino che a Torre Annunziata avevano conquistato una fetta del mercato. I due ultimatum lanciati da Gionta (il secondo scadeva proprio il 26 agosto) sono alcuni dei motivi che hanno scatenato la strage. Ma il clan dei Valentini tenta di allargarsi anche in altre zone. Il 20 maggio a Torre Annunziata viene ucciso Leopoldo Del Gaudio, boss di Ponte Persica, controllava il mercato dei fiori di Pompei. A luglio Gionta acquista camion e attrezzature per rimettere in piedi anche il mercato della carne. Un settore controllato dal clan degli Alfieri di Boscoreale, legato a Bardellino.
Troppi elementi di contrasto con i rivali che decidono di coalizzarsi per stroncare definitivamente il boss di Torre Annunziata. E tra i 54 mandati di cattura emessi dal Tribunale di Napoli il 3 novembre dell’anno scorso ci sono anche i nomi di Carmine Alfieri e Antonio Bardellino. Con la strage l’attacco è decisivo e mirato a distruggere l’intero clan. Torre Annunziata diventa una zona che scotta. Gionta Valentino un personaggio scomodo anche per gli stessi alleati. Un’ipotesi sulla quale stanno indagando gli inquirenti e che potrebbe segnare una svolta anche nelle alleanze della «Nuova famiglia». Un accordo tra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana. Con la cattura di Valentino Gionta salgono a ventotto i presunti camorristi del clan arrestati da carabinieri e polizia dopo la strage.
Ancora latitanti il fratello del boss, Ernesto Gionta, e il suocero, Pasquale Donnarumma.