Immaginare la Pace in un mondo in guerra

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Immaginare la Pace in un mondo in guerra
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Si è conclusa pochi giorni fa a Parigi la 38esima edizione degli Incontri Internazionali per la Pace – dal titolo “Immaginare la pace”- promossa ogni anno in un Paese diverso del mondo dalla Comunità di Sant’Egidio, sulla scia del primo storico incontro voluto ad Assisi da Giovanni Paolo 2°, che nell’ottobre 1986 invitò i leader religiosi per pregare insieme per la pace.

Come ha detto Andrea Riccardi nella cerimonia inaugurale “Parlare di pace, in questi tempi, può sembrare da sognatori. La realtà ci mostra come i discorsi sulla guerra si facciano quotidiani ed insistenti, e come una nuova cultura della guerra stia prendendo piede, giustificando in ogni modo l’uso delle armi e della violenza.

Spesso di fronte a questo panorama inquietante e pesante c’è una diffusa rassegnazione o un distacco, frutti da una parte della diffusa delegittimazione di istituzioni internazionali preposte alla pace (in primis le Nazioni Unite), e dall’altra dalla consumazione della preziosa eredità morale antibellica trasmessa – in particolare alle giovani generazioni – dai testimoni storici della Shoah e da una generazione di anziani che avevano vissuto gli orrori di due terribili guerre mondiali: quasi tutti ormai scomparsi.

A maggior ragione è necessario interrogarsi nuovamente e con un atteggiamento reciproco di ascolto e dialogo – come si è fatto a Parigi tra leaders religiosi, umanisti, uomini di cultura – su temi globali e cruciali per la pace come le guerre, l’Africa, le democrazie, la transizione ecologica, l’Europa, le migrazioni, il nucleare, il Mediterraneo, l’intelligenza artificiale, le coesistenze, l’Asia.

Nelson Mandela diceva: “La pace non è un sogno: può diventare realtà; ma per custodirla bisogna essere capaci di sognare”.

Ecco il perché del titolo “Immaginare la Pace” dell’Incontro di Sant’Egidio. Società globalizzate, frammentate al loro interno e chiuse agli altri, sull’orlo del baratro bellico e nucleare su scala mondiale, hanno bisogno di riscoprire insieme nell’immaginazione una visione unitaria del mondo e il senso di un destino comune.

Anche perché, come si è discusso in una Tavola Rotonda dal significativo titolo “La vita delle persone ha sempre meno valore“, le conseguenze dell’attuale epoca storica, dominata e disumanizzata – anche nella narrazione dei conflitti – da regimi di guerra, si vedono non solo nel panorama geopolitico, ma anche sulla nostra percezione degli altri e di noi stessi. Ad esempio ci spingono a credere che – persino nel 21° secolo – per dirimere un conflitto sia inevitabile, “normale”, ricorrere alla violenza militare, e che sia “scontata” la conseguente morte di centinaia di migliaia di persone.

O ancora che – anche nei Paesi ancora in pace – sia accettabile una visione che giustifichi la separazione tra morti degne di memoria e lutto, e vite spezzate non ugualmente degne: come quelle dei migranti tragicamente deceduti nei viaggi della speranza nel deserto o in mare, degli innocenti torturati nei lager, degli anziani ignorati come scarti, degli homeless “trasparenti” e inesistenti nel consesso civile.

E si potrebbe continuare a lungo con i frutti amari di un individualismo assurto a religione pervasiva e trasversale che, cercando di “espellere” (come dice il filosofo Byung-Chul Han) l’altro dalla propria vita, disumanizza gli altri e noi stessi.

Di fronte a questo panorama di situazioni bloccate e cristallizzate (basti pensare ai tre anni di guerra in Ucraina), la vera alternativa alla rassegnazione è riacquistare insieme, nell’incontro e nel dialogo, la capacità di immaginare nuove strade di pace

Come si è ricordato a Parigi, secondo Philippe Clevenot “la distanza più breve tra due punti non è la linea retta ma il sogno”.

La guerra non è un destino ineluttabile, e l’uomo ha sempre la possibilità di scegliere di sognare e costruire con gli altri una nuova visione di pace.