Mercoledì 1 febbraio 2017, a Casal di Principe, presso la piscina Comunale è stata scoperta una targa in onore di Giustina Copertino, “fatta morta” il 1 febbraio 2015 dalle mani ignobili di un uomo con la presunzione dell’amore, ma con il cuore le mani e l’anima intrise dell’odio del possesso.
“Non aspettare di essere felice per sorridere, ma sorridi per essere felice”, così si legge nella targa e così hanno voluto raccontarla i convenuti alla manifestazione.
Con mesta dignità i familiari di Giustina erano presenti in un abbraccio invisibile ma concreto e mai spezzato con la loro amata, Vincenzo Copertino e Anna Diana, genitori di Giustina; i suoi fratelli, Vito, Antonio, Marco, le cugine Giustina e Anna, ed i figli di Giustina che, con lo sguardo triste, ma la vivacità dei bambini, hanno conferito all’incontro il senso e il significato della responsabilità di ciascun adulto: proteggere l’infanzia, oltre il dolore personale.
Non sono mancate le istituzioni, il Sindaco Renato Fracco Natale, l’Assessore allo Sport, Ludovico Coronella, il Consigliere Comunale, Margherita Iovine, ciascuno ha voluto lasciare un segno della propria testimonianza della persona Giustina, ma anche in prospettiva per il futuro dei giovani.
Tutti, infatti, hanno riconosciuto l’importanza della cultura, della comunicazione, dell’aggregazione e del fare rete per educarsi ed educare a relazioni serene di amore e non di possesso.
Hanno partecipato anche il vice Sindaco, Mirella Letizia, anche Assessore alla Cultura e Marco Marsili che si occupa dell’educazione sportiva e formativa dei ragazzi.
Di particolare intensità la partecipazione di giovani studenti delle scuole di Casal di Principe che con poesie e disegni hanno spiegato il loro interesse al tema dell’educazione all’affettivittà dimostrandone l’efficacia.
Al termine della manifestazione, sembrava che quell’abbraccio non volesse sciogliersi ed è infatti proseguito sulla tomba di Giustina dove l’emozione e il senso di abbandono non ha lasciato spazio all’odio e alla rabbia ma ha conservato quella stessa compostezza e dignità che fin dall’inizio si percepiva negli sguardi smarriti e si respirava nel respiro affannato del dolore.
Una dignità nel dolore travolgente di quelle che scavanoabissi profondi in chi la osserva, inerme.
Un padre annichilito dal vuoto, ma gentile, accogliente, come se quel sorriso, difficile, fosse l’eredità ricevuta da Giustina e da non tradire mai; una madre, triste, piegata dal dolore che riesce ancora a dire di poter perdonare mentre guarda al futuro e chiede che chi sa non taccia, che chi può intuire non si tiri indoietro, che chi ha raccolto testimonianze faccia la sua parte; e la risata argenti dei bambini, in un cimitero, sereni accanto alla tomba della mamma, certi che in qualche modo lei continui a vegliare e a proteggerli attraverso l’amore di tutti coloro che gli sono accanto.
Poi, c’è Giustina, la sua foto bellissima che la ritrae con quel sorriso che tutti dicono amasse donare; Giustina, un monito, un richiamo, una voce, una memoria che si appella a ciascuno chiedendo di non chiudere gli occhi e di non fare finta di niente.
Oggi, un segno, una targa per una donna “fatta morta”.
Una targa che non le restituisce la vita e che non la riporta a casa ai suoi affetti, ma comunque un segno di attenzione che suggerisce che c’è ancora molto da fare perché dei bambini possano semplicemente abbracciare la propria mamma senza avere paura di perderla, perché una famiglia intera possa vedere il dito puntato sul colpevole reale… anche se si è tolto la vita.
Un segno visibile perché nessuno dimentichi che questi orrori esistono e che non accadono per caso… sono figli di una cultura malsana e retrograda, dell’indifferenza della gente che giudica senza conoscere, dell’ignavia di chi guarda senza fare niente.
Una targa che ricordi a tutti che Giustina è stata strappata alla sua vita e ai suoi affetti, che sottolinei che c’è una legge che non tutela fino in fondo e che non invita a rompere il silenzio, che ricordi che prima della fine c’è una vita di strazio e sofferenza e che c’è un dopo di vuoto e lacerazione.
Una targa che faccia sentire tutti in ascolto della vita da tutelare e che non giustifichi la violenza rendendo colpevole chi la subisce.
Una targa per ricordare che di “donne fatte morte” ce ne sono troppe e che molte muoiono nel silenzio della propria vita mai narrata sebbene il loro cuore continui apparentemente a battere. Quel battito non è che il ritmo stanco di una vita che comincia a chiedersi “domani toccherà a me”?
Una targa per ricordare che Giustina non esiste solo nella morte, ma che aveva una vita, dei figli, dei sogni, dei desideri, delle speranze annientate nel primo colpo esploso nel suo corpo. Una targa per dire a tutti che quella non è solo una fredda lapide, ma la memoria di una vita che deve continuare non solo nell’amore della famiglia, ma nella vita di ciascuno. Una targa per ricordare che non si deve voltare lo sguardo e che la storia di una è la storia di tutte.
Non voltate lo sguardo, non è una lacrima quella sul suo volto, è una goccia di sangue.
Non voltate lo sguardo non è sangue quello sul nostro volto, ma una lacrima per il suo sangue che è il nostro sangue e il nostro dolore.
Il sipario non si chiude ma si apre, perchè Giustina vive.
di Loredana De Vita