Il covid-19, il famigerato coronavirus, ci ha sconfitto.
Anche dove non è riuscito a prendersi i nostri corpi, ci ha circondato di lutti, dolore, inquietudine, ha stravolto le nostre abitudini, ci ha messo in fuga da noi stessi, ognuno nella propria casa, chiusa come un carcere.
Eppure il tempo passerà, e il tempo sconfiggerà il coronavirus, costringendolo a rintanarsi nella memoria collettiva, fra i ricordi spiacevoli.
Scriviamo per quei giorni, giorni in cui sarà possibile dimenticare e andare oltre, giorni in cui sarà una scelta il pensare al virus, e non un’ossessione. Ma scriviamo anche per questi giorni, di solitudine e ansia, e scriviamo per lasciare tracce, come sempre, e condividere le nostre vite ora tutte uguali, sentendone il bisogno.
Scrivere è il nostro antidoto al nulla, nessun virus cancellerà queste pagine.
Andrà tutto bene.
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Vogliamoci bene
Soffrire per la distanza è sempre stata una prerogativa di noi cittadini del sud.
Quante volte ci siamo chiesti, tra i banchi di scuola, studiando la storia del nostro paese, perché la gente partiva e come mai i familiari non li seguivano.
Quante volte ci siamo chiesti, noi che di distanza non ne abbiamo mai sofferto, se sia davvero così difficile.
Quante volte siamo state vittime di invidia da parte di chi gli affetti li aveva lontani.
A oggi la verità è che 5 napoletani su 10 hanno un parente lontano, in Italia o fuori dal paese, da un comune a un altro, da una regione a un’altra.
Il napoletano sa cosa vuol dire “soffrire” per la distanza.
Ma quella distanza, a seguito delle partenze e degli addii disperati in cerca di fortuna, era voluta e desiderata. Ciò che ci ha colpito in questi giorni invece, non è niente di desiderato.
«Stiamo lontani oggi per abbracciarci domani»
È uno dei tanti slogan che si legge e che ci perseguita durante questa quarantena, e mentre lo ascolto dieci volte al giorno e lo leggo anche qualche volta in più, sorrido malinconica pensando al nostro popolo.
È facile per gli inglesi e per i francesi non essere preoccupati, loro non hanno lo stesso carattere espansivo e caloroso che hanno italiani e spagnoli. Per noi un abbraccio non è solo un gesto, un movimento del corpo e delle braccia. Un abbraccio è un segno d’affetto, d’amore, d’amicizia.
Ci abbracciamo nei momenti felici e ci stringiamo ancora di più nei momenti tristi, per questo soffriamo, ora, per questo “divieto” impostoci per la nostra salute.
Per noi un abbraccio è come un sorriso, che regaliamo a tutti anche semplicemente camminando per strada, ai conosciuti ma soprattutto a chi non si conosce. Rivoluzioniamola questa imposizione, restando sempre nelle regole da rispettare perché solo così facendo riusciremo ad uscire di casa!
«Sorridiamo oggi, per abbracciarci domani»
(Sofia Esposito)
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Già ieri l’altro una vicina di casa gridava e sbatteva tutto. Ha più di quaranta, ma il suo cervello ne registra otto di anni, vive con una sorella, un bimbo piccolo figlio della sorella e il cognato. Certamente prende farmaci che non coprono l’intera giornata e a ore imprecisate del giorno si ricorda della sua passeggiata giornaliera e grida VOGLIO USCIRE!!! FATEMI USCIRE!!! e vola tutto e si sente rumore di cose rotte e in sottofondo la voce della sorella che dice con tono pacato: non possiamo uscire, ci arrestano.
Lei si calma dieci minuti, poi va alla porta e tenta disperatamente di aprirla ma è chiusa a chiave. DATEMI LE CHIAVI!!! e ricominciano le grida.
Lei giustamente non immagina che nessuno la sta punendo, che non può uscire quando le pare e da sola come è solita fare in talune ore del giorno, quando se ne va per le strade limitrofe a camminare su e giù senza un vero motivo. Lei crede la stiano punendo per qualcosa e grida e piange “aprite quella porta”.
Oggi ho pensato di aprire la mia di porta, avvicinarmi alla sua e dirle “sono chiusa dentro anche io”, anche io sono prigioniera di un virus.
Non piangere, vedrai che presto ritornerai ad uscire.
Perciò quando ci lamentiamo della quarantena pensiamo a chi in casa nella sua quarantena ha situazioni come queste o persone malate immobilizzate nei letti per altro. Il Covid 19 ci sta mostrando un volto della vita che non avevamo avuto occasione di guardare mai. E alla paura del virus si è aggiunta la paura di essere così dannatamente vulnerabili.
Tutti.
(Olga Pastore)
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Ora sai che faccio? Cucino, mi dico a telefono chiuso. Voglio fare pizze di tutti i tipi, perché ci piacciono: pizza Margherita, pizza di scarole, pizza di carne, pizza ortolana, con le cipolle, pizza dolce di mele. Ho voglia anche di fare il pane, di sentire il suo profumo delizioso straripare nelle stanze, croccante, caldo, con su un po’ d’olio extravergine e sale, come quando eravamo bambini e i contadini a Sorrento ci infornavano una piccola pagnottella, una per ogni bimbo: era un regalo tiepido che stringevo tra le mani piccoline e spezzavo, per berne prima tutto il profumo, e poi mangiarne il sapore. E voglio fare una brioche come sapeva farla mamma, esperta di cucina francese: ricca pasta con burro e uova in una forma alta di alluminio con il buco al centro, e in quel buco versare besciamella calda al parmigiano e piselli al prosciutto: buonissima!
Come è bello questo vuoto e caspita come è pieno. Leggo di più, penso di più, scrivo di più. Parlo di più con i miei amici, lontani dal corpo ma vicini al cuore.
(Laura Siciliano)
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Stamattina sono andata al supermercato a fare la spesa: le persone in fila nel parcheggio sembravano fantasmi, lontane, protette da mascherine e guanti, occhi spalancati, sguardi preoccupati. Ma nessuno mi è sembrato veramente estraneo. Una volta entrati, due alla volta, si è accorciata la distanza, si abbozzavano sorrisi, qualche parola, un accenno di comprensione. Ho provato tanta gratitudine per chi lavorava nonostante tutto. Nessuno protestava per l’attesa, ci siamo fatti compagnia, quasi contenti di vederci. Tutto si è ridotto all’essenziale.
Alla pompa di benzina i ragazzi sdrammatizzavano scherzando tra di loro. Quattro ambulanze erano passate la mattina dirette in un parco più avanti, dicevano, sono venuti a prendere tutta la famiglia. È difficile non avere paura ma è possibile esorcizzarla. Avevano guanti, mascherine e occhi vigili, hanno lavorato con tutta l’allegria che riuscivano a trovare. Sono tornata a casa sorridendo. Le ambulanze, comunque, arrivano, negli ospedali c’è chi lavora per noi. Non siamo soli, mi sento meno sola adesso di prima. Ora lo so.
(Stella Amato)
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Essere un docente comporta degli obblighi ben precisi diretti alla formazione del prossimo e di sé stessi. Certo non bisogna dimenticare di essere al passo coi tempi e essere forniti degli strumenti tecnologici più avanzati. E poi bisogna essere sempre presentabili, truccate, e dimostrare che il senso di dignità professionale passa anche per l’aspetto estetico, i capi devono essere alla moda dei colori in voga nella stagione dell’anno e soprattutto non bisogna dimostrare nemmeno un filo bianco tra i capelli, a meno che non si opti per una versione nature…
Ci vuole spirito di sacrificio si sa, aver scelto questo mestiere di questi tempi ha del missionario, pochi soldi, poca stima e considerazione collettiva, in poche parole poco rispetto. Ma oggi siamo nel pieno di un’epidemia globale, la quale non riguarda le nostre meravigliose piattaforme digitali, ma un nemico invisibile nato dallo sconsiderato comportamento dell’uomo.
Nella settimana antecedente alla chiusura definitiva delle scuole di ogni ordine e grado, era stato istituito un gruppo WhatsApp del liceo dove lavoro come docente. Grazie a una serie di filtri le informazioni venivano postate con esclusivo potere da parte del dirigente e dei suoi stretti collaboratori, senza possibilità di repliche. Considerando la scarsa empatia, nella serata di domenica 15 marzo viene postato l’ennesimo messaggio. Il contenuto era disarmante da un punto di vista didattico e morale: si obbligava il corpo docente a tenere lezioni on line in diretta seguendo l’orario di lavoro, con pochissime interruzioni e senza possibilità di tutela della privacy, con intromissione del dirigente durante le perfomance didattiche.
Ecco che il corpo docente risponde, unito compatto, solido nel difendere la libertà d’insegnamento, difendendo la propria privacy e sostenendo la teoria che in un momento come quello che stiamo vivendo, anche i docenti hanno una vita privata. Ansie, preoccupazioni, responsabilità condivise, o meno, nel proprio focolare domestico.
Riflessione: grazie al Covid-19 siamo rivalutati, siamo tornati a essere un organismo vivente, un’ancora solida in un mare di incertezze.
Conclusione: tutti i docenti hanno abbandonato il gruppo globale, non ci stiamo. Viva la libertà e la democrazia.
(Paola Iannelli)
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A volte mi chiedo se avrò mai così tanto tempo da poter dedicare a tutte quelle cose e dovrei e vorrei fare ma non faccio. E me lo richiedo, sentendomi responsabile. E me lo richiedo ancora e ancora.
Così passo il tempo, e non faccio, neppure una di tutte quelle cose e dovrei e vorrei fare ma non faccio.
(Aldo Putignano)
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Marano, 15 marzo 2020
quinto giorno di pandemia, decimo giorno di quarantena
Oggi è domenica. La luce del giorno che filtrava dalla serranda non abbassata del tutto mi ha svegliato presto. C’è silenzio, un silenzio che distende. Io vivo immersa nel costante rumore dei macchinari dell’ufficio, del telefono che squilla incessantemente, del chiacchiericcio delle persone, della mia voce.
Ci si abitua, purtroppo, fino al momento in cui manca la corrente. Tutto tace d’improvviso, anche il telefono, le voci delle persone, le nostre, per qualche secondo. E nel silenzio mi distendo rilassata, respiro e sorrido. Sì, sorrido perché mi sento meglio, il sottile nervosismo di sottofondo scompare, tutto quel rumore che assedia e consuma non c’è più.
La ricerca del silenzio mi aveva spinto a cambiare casa tre anni fa. Cercavo la pace, e qui, in periferia, al confine tra Napoli e Marano, in mezzo a villette datate e un poco di campagna sopravvissuta, l’ho trovata. “Città giardino”, nome pretestuoso che ricopre i misfatti edilizi della camorra anni ’80. Via del mare, perché dall’alto della collina, prima di intraprendere la discesa verso Marano, si vede il mare in lontananza, ed è proprio un’apparizione.
Venendo da Napoli e superando la “Decina”, antico casale abbandonato appartenuto in passato al pittore Camillo Guerra, a cui hanno dedicato la via, ho sempre avuto la sensazione che il tempo rallentasse. Le persone che vivono in questi posti si muovono meno freneticamente, hanno i loro tempi, le loro personali liturgie. La casa in cui vivo adesso mi aveva attirato proprio per la calma che emanava, il senso di pace che il silenzio che la circonda infondeva. E ora che ci vivo, ora che resto chiusa in casa per precauzione sanitaria, non posso che confermare quelle sensazioni.
Questa casa mi abbraccia, mi fa sentire nel nido, protetta, sicura. Il giardino mi regala luce, aria, le gemme sugli alberi, l’erba che cresce, i merli, le gazze i pettirossi, i passerotti che vengono a becchettare in giro. Per ringraziarla la pulisco con cura, riordino armadi, cassetti, librerie e scrivanie. E da tutto questo lavoro calmo e costante spuntano fuori vecchie fotografie dimenticate, lettere di quarant’anni e più fa (devo ammetterlo, sono proprio invecchiata senza accorgermene), cartoline di viaggi dimenticati, desideri e passioni accantonate. Questo momento di stasi forzata mi fa ricomporre il puzzle della mia vita, ogni tesserina si incastra alla perfezione con le altre. Mi riscopro solitaria, amante del pensiero, dello studio, della lettura e della scrittura. Tutto quello che mi ha sempre fatto sentire diversa ora ha un senso.
Ho trovato molti diversi uguali a me nel corso degli anni, e questo non mi fa sentire sola anche quando lo sono. Mi sento parte di una comunità, una testimone del nostro tempo che lascerà qualcosa ai posteri. Magari insignificante, ma sarà una traccia, la mia personale impronta nel mondo.
(Stella Amato)
Homo Scrivens
È la prima compagnia italiana di scrittura, dal 2012 anche casa editrice.
Sul sito www.homoscrivens.it è pubblicato un ampio reportage, in continuo aggiornamento, sulla vita ai tempi del virus, da cui sono tratte alcune di queste istantanee. Ogni aggiornamento è segnalato da Homo Scrivens nelle sue pagine social.