di Giuliana Gugliotti
Sacchetti dell’immondizia, striscioni e cartelli per mandare un messaggio all’Italia. Come promesso dagli attivisti, la protesta degli abitanti della Terra dei Fuochi non si ferma e sbarca anche allo stadio. E quale migliore occasione di una partita della nazionale, che dopo 7 anni torna ad esibirsi al San Paolo, per far sentire la propria voce al mondo intero?
Ieri sera il San Paolo era una distesa di striscioni: pochi colori, messaggi semplici, che vanno dritto al sodo. “Noi non vogliamo morire di tumore!” e “Giugliano vuole vivere”, per ricordare la strage ambientale che per vent’anni ha distrutto le speranze di una popolazione, e che solo ora sta diventando, grazie alla mobilitazione cittadina, una questione di interesse nazionale.
I due striscioni per la Terra dei Fuochi sono stati esposti per tutta la durata della partita Italia – Armenia, uno in curva A l’altro in curva B; durante la pausa tra primo e secondo tempo un altro appello scritto è comparso in questo settore. “Stop Biocidio, vogliamo vivere“. 27 cartelli, ognuno con sopra una lettera, tenuti in mano da altrettante persone e circondati da una distesa di sacchetti neri dell’immondizia, con cui i manifestanti si sono coperti il volto e la testa, agitandoli in direzione del campo per qualche minuto, giusto il tempo sufficiente a far penetrare il messaggio, per poi rimuoverli alla ripresa della partita.
Sempre in curva B, accanto ai manifestanti della Terra dei Fuochi, gli attivisti di Greenpeace, che chiedono la liberazione di Cristian D’Alessandro, il giovane napoletano arrestato in Russia con l’accusa di pirateria. Due mondi che si ritrovano uniti nella protesta comune per l’affermazione dei diritti umani, in un luogo, lo stadio, che è simbolo democratico per eccellenza.
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16 ottobre 2013
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