Quando l’arte decide di esprimersi, lo fa spesso senza portare con sé un alfabeto preciso.
Ti offre una comunanza di segni da comporre, un puzzle di intuizioni da tradurre, è una domanda che fagocita senza sosta la risposta, e che pure non cessa di porsi.
Oggi incontro una donna che di chilometri ne ha percorsi tanti, mossa dal richiamo ad esplorare il mondo, e se stessa.
Un’interrogazione insistente che obbliga a seguire le tracce di un alfabeto sbriciolato, come un gioco da percorrere al buio, a tentoni, spiando da un obiettivo la superficie delle immagini.
Lei si chiama Kristin Man, e la incontro davanti ai suoi scatti esposti al Pan, il Palazzo delle Arti di Napoli.
La mostra intitolata 9_9, a cura di Chiara Reale, sarà accessibile fino al 21 maggio, e invito fortemente chi ancora non l’abbia visitata, a lasciarsi condurre in questo percorso tra le immagini e i luoghi abitati dall’artista,
in un viaggio di ben tre anni attraverso l’Italia.
La sua è una ricerca fatta di luce, di volti, di uno spazio di espressione invisibile, nuovo, che si imprime sulla trama delle fotografie grazie alla sua sola presenza.
Un’operazione che strizza l’occhio a Duchamp, e che Kristin sviluppa, catturando con la luce quel “non luogo”, quel territorio inaccessibile dell’arte che sfugge nell’attimo stesso in cui si presenta.
I suoi scatti creano una frattura, un’apertura dalla quale emerge un nuovo rapporto tra le cose, un diverso livello di lettura tra le relazioni umane, e dove in questo processo, l’immaginazione gioca un ruolo essenziale.
La vocazione al viaggio, all’esplorazione, al confronto con il mondo artistico, tratteggiano l’identità di un’artista che fa della fotografia un luogo da attraversare, nel quale letteralmente entrare.
Kristin si serve dell’immagine come di uno specchio nel quale riflettere le molteplici identità che scaturiscono dal rapporto con gli altri.
Da questo confronto, prima di tutto umano, l’artista alimenta la sua capacità di cambiamento, di trasformazione, di espressione, articolando così il suo proprio linguaggio.
Diamo il benvenuto a Kristin Man e al suo sguardo “nomade” che vaga e gioca con le identità.
Serena Capozzi
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