“Per rispetto delle persone coinvolte nella tragedia in corso, la sfilata andrà in scena senza musica” – questa, la voce che ha preceduto lo show di Giorgio Armani, domenica scorsa, per la Milano Fashion Week autunno – inverno 2022.
“Re Giorgio”ha colpito ed affondato: un segnale forte, un messaggio significativo e – diciamoci la verità – coraggioso, per il mondo della Moda, che vede tra i russi molti clienti importanti; d’altronde, i capitali sovietici sono fondamentali per tanti, in Europa.In lacrime, in conferenza stampa, Armani ha poi spiegato che era tutto pronto, per la sfilata, ma non se l’era sentita di procedere come se nulla fosse; ha scelto il silenzio, per far ascoltare il battito del suo cuore; lo ha fatto in rispetto dei bambini e delle bambine coinvolte in questo orrore. “Non riesco a restare indifferente” – ha detto ai giornalisti, tra le lacrime.Un processo di rimozione che – ahimè – ha tuttavia travolto quasi tutti, in questa Fashion week.
Manifestazioni di solidarietà, ci sono state certamente all’esterno delle locations degli shows, tra bandiere sventolate, o dipinte sul viso di chi ha seguito la “Settimana della moda” da un altro punto di vista, in attesa dell’arrivo dei vip invitati alle sfilate, ai quali strappare un selfie.
Tra gli stilisti, Elisabetta Franchi ha lasciato un post su instagram, in solidarietà alle vittime delle guerre (mantenendosi sul vago) e Silvia Venturini Fendi, ha pubblicato un post schierandosi apertamente a favore dell’Ucraina; sotto la foto della loro bandiera, ha commentato “Il mio cuore è con tutte le persone che stanno vivendo questo incubo. No alla guerra, per favore”.
Coraggio, sì. Da un lato, quello per sopportare missili ed esplosioni sulla propria testa e quella dei propri figli, e dall’altro quello che occorre per mostrarsi pacifisti, per sostenere chi subisce violenze, quando in gioco ci sono milioni di euro e milioni di posti di lavoro.
Può suonare vigliacco, ma tant’è.
E’ stata una settimana difficile, in ogni caso, anche per tutte e tutti noi della gente comune. Il senso di impotenza è davvero difficile, da sopportare; ci hanno insegnato che “the show must go on”, ma lo si può fare con rispettoed è in questo clima cheho seguito tutte le sfilate, on line, grazie al sito messo a disposizione dalla Camera della Moda ed agli spazi social gestiti dalle case di moda partecipanti. Vi avevo promesso un focus su RoadTv Italia ed era mia priorità prepararmi a dovere, ma qui mi
premeva questa premessa, doverosa e sentita, in questo tempo di guerra, confidando nel senso di responsabilità di taluni, per assicurare la Pace.
La mia riflessione, a margine di questa MFW, è nel riconoscere la forza della Moda italiana, che – a mio avviso – gode ancora di ottima salute.La prima settimana della Moda milanese in presenza, dopo lo stop per tutela dal Covid, ha garantito – ça va sans dire–al settore alberghiero e della ristorazione, come a tutto l’indotto che lavora di solito intorno ad un evento simile, grossi introiti; finalmente, un po’ di respiro per chi annaspava tra le difficoltà economiche portate dalla pandemia; mi riferisco non solo al mondo dell’ospitalità e della ristorazione di lusso, ma anche a quelli più alla portata di tutti, dato il seguito che la MFW porta con sé tra lavoratori, appassionati di Moda e fans delle celebrities.
CHI HO AMATO DI PIU’ E PERCHE’
DEL CORE –ispirato dal mondo della Natura, ha portato in passerella una collezione per celebrare la donna-insetto: immagine suggestiva e misteriosa, per raccontare l’universo femminile dai colori più variegati, come sfumature dell’anima.
MOSCHINO – il genio di Jeremy Scott (che ha chiuso la sfilata vestito con una tuta spaziale rosso fuoco), ci porta a veleggiare tra arte surrealista, da un lato ed avveniristica, dall’altro; il tutto in una scenografia rococò. Che dire? Favoloso. Ode al cappelliere Stephen Jones ed al compianto Franco Moschino, ispirazione di Scott nel rileggere due sue sensazionali collezioni, del 1989 e del 1990, con le quali il grande talento milanese aveva “giocato” con gli elementi della casa.
DOLCE E GABBANA–benvenute e benvenuti nel Metaverso! Ispirandosi al mondo dei videogiochi anni ’80, le modelle sfilano in un’atmosfera digitale, tra colori intensi e forme destrutturate (penso ai pantaloni asimmetrici); si celebra il ritorno delle spalline, il tanto oversize, ma anche la lingerie a vista, pezzi di grande sartoria ed elementi di sportswear; pizzo, trasparenze, ma anche visiere da realtà aumentata, come occhiali da sole.
MARNI – Francesco Risso mette in scena una vera performance ed è come se avesse presagito, i venti di guerra soffiati dalla Russia. La passerella, tra macerie ed erba incolta è la celebrazione della moda come mezzo per la denuncia sociale. Strappi, abiti lacerati per comunicare l’incomunicabile: la crisi dell’umanità, con al centro il dramma dell’emigrazione; per questo, fa sfilare in modo lento, sotto le note di una melodia delicata, modelle che indossano abiti su abiti e cappotti su cappotti, come fa chi fugge da una realtà di paura e morte. Tutti in piedi, gli spettatori: senza sedie, senza quella comodità che spesso ci porta ad osservare in poltrona, l’orrore delle violenze e della guerra. Intenso.
RAMBALDI– la “Nuova Poetica Post Romantica” dello stilista, andata in scena all’Adi Museum di Milano e trasmessa in streaming sulla pagina instagram della Maison Valentino di Pierpaolo Piccioli, è un manifesto dell’inclusività e del body positive; ode all’umanità, così com’è e si sente, alla comunità LGBTQIA+, alla bellezza dell’imperfetta unicità di tutte e tutti noi con i nostri corpi e le nostre forme, le nostre rughe e la nostra anima. Sfilano corsetti e pizzi, cuori, velluto, colori e gli abiti che portano addosso il profumo e la passione di una notte di sesso. Amarsi ed amare, l’imperativo primo di questa Nuova Poetica che suona come una scossa al sistema, al mondo della politica ancora fermo all’età della pietra, mentre la realtà corre in tutt’altra direzione. Iconico.
ACT N°1– Ah, Galib Gassanoff e Luca Lin! Ho adorato, quell’abito rosso con il maxi collo a corolla! Tanto jeans, tante spille da balia a tener su i tessuti, tanto tulle e tanto colore, ma – consentitemi – bellissima, la modella in jersey che lascia scoperto il suo pancione di mamma in attesa, così come la scelta di far sfilare Elenoire Ferruzzi (icona del popolo LGBT) e Francesco Cicconetti (transgender ed attivista per la comunità queer); una conferma, quella del duo creativo di Act N° 1 che in passato hanno dichiarato che “La diversità è un valore” e “Blood has no race and no gender”.
ANDREADAMO– per il designer calabrese, ciascun abito può essere indossato da ogni donna; nessun limite di taglia, nessun dramma per le nostre forme abbondanti o troppo asciutte. Siamo quel che vogliamo essere: punto. Bellissima, questa collezione: elegante, sensuale, senza limiti. Messaggio ricevuto.
BOTTEGA VENETA–Matthieu Blazyesordisce nella direzione creativa della maison e porta il minimalismo anni ’90 alla fashion week: canottiere bianche sui jeans, tailleurs pantalone dai toni neutri (ma corredati da tacchi con tomaia in eco pelliccia fluo); cuissards di pelle colorata effetto metallizzato sotto abiti impalpabili dalle tonalità pastello e – tocco originale – l’accoppiata maglione di lana con sottogonna in pelle con frange sottili anch’esse in pelle en pendant. Che dire. Il “ragazzo” (classe 1984), ha talento, ma l’aspetto ancora, per la conferma.
ALBERTA FERRETTI – classe, eleganza, raffinatezza: ero a bocca aperta, mentre le modelle sfilavano e lo sono tuttora. Non riesco a dimenticare quelle forme, quei tessuti, quei colori, quella luce. Abiti da sogno. Magia.
VERSACE – la sfilata che più mi ha regalato gioia ed ottimismo. Buon sangue non mente e Donatella ci dona una collezione sensualissima, volta a valorizzare il corpo femminile (anche qui con tutte le sue forme!); bustier, minigonne, cuissard e tanto vinile e consacrazione quali muse della maison per le due sorelle top, Bella e Gigi Hadid.
ARMANI –il Maestro dei Maestri. La sua eleganza senza fine, la sua Anima meravigliosa. Mini abiti su pantaloni di paillettes di un blu quasi metallico; giacche smoking su pantaloni di velluto, tanto argento e tanti riflessi. La collezione si chiama “Segni di luce” e lui, Re Giorgio, ne ha distribuiti a iosa, al mondo: per la sua Arte e per il suo messaggio no war.
SCERVINO– talmente tante, le proposte in bianco, che mentre sfilavano ho pensato si trattasse di una collezione tutta “white”, ma poi… Sorpresa… Ah, i turchese, i rosa shocking, i verde, viola, pervinca, nero… Velluto, pizzo intagliato nella pelle e tanta eleganza, per celebrare la femminilità ed il concetto di bellezza cui tanto tiene il designer ed oggi data dal contrasto tra sportswear e haute couture.Lana, seta, stivali colorati dalla suola ampia in gomma.Finissima, l’artigianalità e di grande pregio il lavoro sartoriale. Notevole.
LUISA SPAGNOLI– lavorazioni ricche e sofisticate: la donna di Luisa Spagnoli è consapevole del proprio valore e della propria bellezza ed è indossando abiti come quelli proposti dalbrand che può decidere di ripartire da sé, lasciandosi alle spalle il passato e l’incubo Covid. Maglieria, di giorno, preziosa. Abiti e cappotti colorati. E di notte, abiti e miniabiti jacquard arricchiti da lurex, dalle ampie scollature. Mono spalla in taffetà di seta, ma anche gonne midi colorate e giacche biker. Tanto folk ed ethno-chic. Insomma…Elegante e audace.
GCDS– sfilata uomo – donna, per Giuliano Calza, designer del brand; tra Dracula ed Hello Kitty, le modelle ed i modelli sono andati in scena in un’atmosfera gotica, tra trasparenze e latex, mini abiti con reggicalze; glitter, tute con lunghe frange in mohair, abiti glamour con grandi fiocchi e maxi cappotti in rosa o verde neon. E poi i balaclava in crochet e le rouches di Dracula. Onestamente, non so chi possa avere più paura: se il personaggio nato dalla penna di Bram Stoker, di fronte a tutto questo, o Calza, davanti a Dracula.
Insieme a voi, aiutandomi anche da queste recentissime sfilate, tengo molto, a margine di questo pezzo, ad approfondire temi molto sentiti e chiacchierati, in questo periodo.
Il primo riguarda la cd. “INCLUSIVITA’”.
Durante la scorsa settimana, ho incontrato una giovane donna, protagonista di una vicenda che – sono quasi certa – riguarderà tanti, tra le nostre lettrici e lettori. Mi ha raccontato dell’imbarazzo con il quale ha reagito di fronte ad un atto di vero bullismo compiuto in suo danno da una commessa di un negozio; quest’ultima, l’aveva schernita per le forme – a suo dire troppo generose – del suo corpo, sostenendo dapprima che in negozio non avesse alcunché da venderle e poi, sotto insistenza della ragazza, le aveva consegnato, per la prova, un paio di pantaloni di due taglie inferiori, dicendole fossero della taglia richiesta dalla giovane, appunto per farla sentire in difficoltà. La ragazza, che non è riuscita ad entrare in quei pantalonie si è accorta, in camerino, del gesto meschino della commessa, ci è stata male per giorni e mi ha confidato la sua amarezza, per un comportamento così odioso.
E’ notizia sanremese, poi (avrete sentito e letto!), quella del botta e risposta di Emma Marrone con il giornalista che l’aveva apertamente offesa, dichiarando l’inopportunità dell’indossare un abito con uno spacco così generoso e per di più con le calze a rete, per una come lei, dalle “gambe importanti” (il riferimento è all’abito di Gucci by Alessandro Michele, indossato da Emma nella finale di Sanremo). Il fenomeno del body shaming è – ahinoi – davvero diffusissimo e ricordo ancora come una persona a me vicina (ma mai stata vicinissima), ebbe a dire di una professionista cui facevo riferimento, in una nostra chiacchierata, come di quella “grassa” (aspetto che non c’entrava alcunché, con il mio discorso e con il valore della donna di cui le stavo parlando). Piccole persone, piccolissime, che – per fortuna – non escono dai confini del proprio territorio, ma che con la propria mentalità provinciale e malsana sono capaci di danneggiare altri ed inquinare, così il mondo. Occorre stigmatizzare, questi comportamenti. Occorre sul momento far comprendere a questa gente che la bellezza appartiene a tutte e tutti, per la nostra unicità, per la nostra sensibilità. Non c’è più tempo, per le cattiverie da bar. E spero fermamente nell’opera educativa della famiglia, ma ancor più della scuola, dei centri educativi, del mondo della cultura e dei media. Tutte le forme sono belle, l’importante è stare bene con se stesse e se stessi. E’ body positive, far sfilare modelle e modelli che entrano in una XL, piuttosto che in una taglia piccolissima ed è inclusività, scegliere quali modelli e modelle persone di età diverse, di abilità diverse; è per questo che trovo importantissimo, il messaggio passato sulle passerelle di Rambaldi, Blumarine, Andreadamo, Prada, Annakiki e Act N°1, durante questa fashion week, come quello che da anni porta avanti Pierpaolo Piccioli, direttore creativo della Maison Valentino, che sente come una responsabilità del mondo della Moda, quella di adeguarsi ai tempi ed opporsi ad ogni forma di violenza, difendere i diritti umani, operare nell’ottica della inclusività a 360 gradi: “Ogni giorno persevero nella ricerca di autenticità scegliendo persone che esprimano i valori di inclusività e diversity. La DIVA della Valentino contemporanea infatti, uomo o donna che sia, celebra questi valori. Rappresenta la voce di diversi individui e incarna culture e punti di vista differenti”.
A questo punto, ci auguriamo che ciascuna ragazza, o ragazzo amino seguire la realtà patinata del fashion sappia cogliere questo nuovo messaggio, secondo il quale è importante ciò che siamo, così come esprimere la nostra personalità nelle forme e nei gusti che abbiamo; l’abito è solo un mezzo e come tale, è lui che deve adattarsi a noi e certamente non il contrario.
SULLA SOSTENIBILITA’ – A margine di una kermesse di moda, sale a tutte e tutti la febbre dell’acquisto, inutile negarlo. Un po’ per replicare i look visti sulle passerelle, un po’ per aggiornare l’armadio, secondo le nuove tendenze.
Chiaro, che i destinatari dei nostri desideri siano proprio le case di moda importanti, ma è ancora più limpido, che la maggior parte tra noi potrà realizzare ben pochi desideri, tra gli scaffali dell’alta moda! Al netto degli outlet, dove trovare tesori preziosi nascosti tra le collezioni di fine stagione, è inevitabile che il portafogli venga attratto dalle catene di fast fashion più importanti. Quel che non sappiamo, però, quando acquistiamo troppo è che in genere non utilizzeremo altro se non il 20% dei capi presenti nel nostro armadio e che l’industria della moda fast, per reggere alla nostra domanda, inquinerà di più (in gas, in spreco d’acqua, in rifiuti da colorazione degli abiti e conceria), lasciando anche un invenduto da smaltire. Cosa possiamo fare, noi? Cosa, i marchi del fast fashion?
Per quanto ci riguarda, innanzitutto penso che prima di acquistare capi nuovi, potremmo dare uno sguardo in più al nostro guardaroba, a quei vestiti che non abbiamo avuto il coraggio di mandar via e teniamo rigorosamente in ordine, in un cantuccio dell’armadio; seguire le mode e la moda è un fatto, ma quanto può esserci di più creativo, nel ri-adattare abiti d’un tempo alle nostre esigenze attuali? Allora via al taglia e cuci, alle applicazioni, ai nuovi bottoni, al gioco degli accessori, per dare una nuova vita ai nostri capi vecchi, senza incidere sull’ambiente, ricavandone soddisfazione senza prezzo. In più… ricordiamoci degli armadi delle nostre madri, sorelle, zie, cugine… in un’ottica di scambio familiare, per poi acquistare anche in negozi, mercatini, o su app e siti specializzati in vintage.
Alle aziende (e sono tante che – da qualche anno – si sono adoperate per cercare di produrre in modo consapevole), v’è da dire che c’è ancora molto da fare; difficile, mantenere condizioni retributive adeguate agli operai ed operaie, quando c’è necessità di produrre in modo sostenibile, senza troppo gravare sul consumatore, ma si può e si deve concentrarsi su un equilibrio che non danneggi alcuno degli attori del sistema.
Penso alle linee di abbigliamento innovative ed ecosostenibili nate dalle fibre di scarto della frutta, come l’ananas (il tessuto Piñatex, ideato dall’imprenditrice Carmen Hijosa, che ha il vantaggio di essere leggero, traspirante ed elastico), o come gli agrumi (penso ad Orange Fiber, delle siciliane Adriana Santanocita ed Enrica Rena, che utilizzano lo scarto dell’industria agrumicola trasformandolo in risorsa; un tessuto di alta qualità tessile, setoso, destinato anche alle case di alta moda, come Ferragamo, che per prima ha accolto una loro produzione e poi a colossi come H&M, che ha realizzato la collezione Conscious Exclusive 2019 con il loro tessuto); ma l’occhio cade anche sul lavoro di Alessandro Bastagli di Lineapiù, produttore di cashmere riciclato in filiera responsabile, filato in 35 colori e destinato a brand internazionali come Stella McCartney, Zegna, Pangaia, Patagonia ed alle collezioni Conscious di H&M.
SUI TALENTI DIGITALI ED IL POTERE DEI CENTENNIALS
Le chiamavano fashion bloggers, poi influencers, poi imprenditrici digitali, poi ancora creatrici digitali. Giovani Millennial ediGen che hanno definito diversamente i contorni del mondo della moda e che in alcuni casi eclatanti, sono riuscite ad ispirare esse stesse stili e stilisti, fino a dar vita a proprie linee o capsule collections. Adorate da un pubblico immenso, ma soggetti privilegiati anche da haters d’ogni foggia, suscitano in me profondo interesse e curiosità. In realtà, ammiro questo esercito di giovani donne ed uomini che si mette in gioco quotidianamente, che ha saputo cogliere le occasioni che il mondo dei social, il web stesso offrivano loro. Ho cominciato questo articolo parlando di coraggio; un genere diverso, molto diverso, quando si lotta per la vita sotto le bombe, ma è ancora il coraggio, ad essere protagonista di questa mia riflessione. Cinici, disincantati, demotivati: questo appartiene alla nostra GenX; di fronte alle sfide ci demoralizziamo facilmente, spesso restiamo impantanati nel limbo della precarietà per il timore di affrontare l’ignoto e perdere quella poca certezza che abbiamo ereditato, o realizzato e coltivato. I giovani, i giovanissimi centennials conoscono bene questi tempi difficili ed hanno per così dire metabolizzato l’idea che nulla sia sicuro, che nessuno porgerà loro un lavoro certo, né tantomeno sono disposti a barattare i propri sogni e desideri per un posto di lavoro che non assicurerebbe loro soddisfazione e felicità. Non concedono sconti ai genitori, spesso preoccupati, né intendono compiacere chi li vorrebbe seduti ad una scrivania a far di conto per altri. Padroni del proprio tempo, abili nell’utilizzo della rete e strateghi maghi dei social di nuova generazione, costruiscono app, realizzano imprese, gestiscono se stessi meglio di social media manager affermati. Il ritratto di questi giovani è fonte di ottimismo, diffusore di quella genialità coraggiosa che sa anche spingere sapientemente l’economia del nostro Paese, del mondo. Li adoro. Guardo crescere queste giovani donne e questi giovani uomini con affetto e stima, imparando giorno dopo giorno qualcosa di più, per affrontare l’oggi. Prima di storcere il naso, da donne ed uomini di mezza età in pieno scontro generazionale, vi consiglio di andarvi a cercare le loro storie, spesso non così lontane da noi e dalle nostre famiglie. Chi ha scelto di studiare, o lavorare all’estero, sostenendosi da sola, da solo; chi, come Arianna Rossi e Federico Cina, ad esempio, che hanno ottenuto spazi nel mondo del lavoro dando il giusto valore alle proprie capacità, credendo in sé, fino a diventare imprenditrice tech, la prima, nata nel 2003 (ideatrice della piattaforma di moda Gaiamyfriend; aiuta gli utenti a comporre l’outfit in base al proprio stato emozionale) e stilista affermato, il secondo, 28enne (dopo la laurea al Polimoda di Firenze, debutta ad AltaRoma e poi vince il contest “Who’s On Next?” nel 2019; è tra i semifinalisti dello scorso LVMH Prize).
Il coraggio, alberga nei loro discorsi e nel loro vivere e chissà che non riescano ad “influenzare” anche noi.
E’ tempo di rinascita, di lasciarsi andare.E’ tempo di assumerci dei rischi e realizzare i nostri sogni.E’ tempo, finalmente, di vivere.
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