La vera e propria insurrezione contro la sede che ospita i rappresentanti democraticamente eletti dal popolo americano che si accingevano a ratificare il responso delle urne per la nomina del nuovo Presidente degli Stati Uniti avvenuta qualche giorno fa ed ispirata da Trump, ovvero da colui che ha perso il confronto elettorale, costituisce il prevedibile e conseguenziale effetto di uno stile presidenziale caratterizzato dal sistematico attacco nei confronti di qualsiasi cosa che si frapponga al suo capriccioso esercizio del potere.
La nuova sfida degli anni Venti
Trump è di fatto il massimo esponente del mondo occidentale di un fenomeno politico – sociale denominato nazionalpopulista.
Un modo di intendere la conquista delle Istituzioni democratiche come un dato acquisito definitivamente, perché da parte degli esponenti del nazionalpopulismo ci si rappresenta come gli unici depositari della volontà del popolo.
Uno dei vari effetti della popolocrazia, in quanto in nome del popolo, una categoria che ha sostituito quella di cittadinanza, le Istituzioni vengono considerate e vissute come un luogo da conquistare definitivamente e non da governare.
Infatti, ritenendosi l’ unica voce autentica del popolo, qualsiasi elezione che dimostri il contrario non può essere né libera né corretta.
Nell’ ambito di questa narcisistica visione, né i giudici, né i rappresentanti eletti possono avere il diritto di sovvertire quello che arbitrariamente si ritiene il volere del popolo americano.
Lo spettacolo sovversivo inscenato in Campidoglio evidenzia l’ alterità radicale del nazionale – populismo rispetto al sistema dello Stato di diritto occidentale che in tutto il dopoguerra ha garantito la tutela delle nostre libertà.
Certo. Non è stata una storia priva di contraddizioni, ma i fondamentali principii di una democrazia hanno tenuto.
I quattro anni di Presidenza trumpiana si sono caratterizzati dal fatto che ogni situazione di crisi economica, sanitaria, del lavoro e della rappresentanza sono state addebitate alla natura democratica del sistema politico, imputandole le sue false promesse e i suoi inganni.
Le paure prodotte dalle cennate crisi sono utilizzate per scagliarle contro il meccanismo democratico e, conseguenzialmente, ogni contropotere – posto a base per arginare ogni forma di strapotere – deve essere contrastato e travolto.
Sono i focolai della rabbia e del risentimento – provocati a loro volta dalla esclusione e dalla delusione – che partoriscono le predicazioni populiste, i cui predicatori, una volta conquistato il potere, tendono a svuotare la democrazia dal di dentro, indebolendola, semplificandola in uno mero schema “amici – nemici”.
È chiaro che in questa visione della gestione del potere non è contemplata la sconfitta. A questo proposito, voglio ricordare uno degli insegnamenti di Noberto Bobbio volto a farci capire che una democrazia è tale nella misura in cui prevede la reversibilità delle decisioni e la sostituzione dei Governi senza spargimento di sangue.
Nella visione nazionalpopulista, invece, il responso negativo delle elezioni diventa una sorta di ingerenza, quasi una forma innaturale di dirottamento del destino.
Ecco perché viene denunciato come un attentato al popolo che verrebbe espropriato di un futuro luminoso promesso.
Un meccanismo emotivo più che razionale – politico e che, quindi, comporta la negazione della realtà con relativa costruzione di una realtà parallela. Qualcuno l’ ha definita “postverità”.
Tutto questo non avviene solo negli Stati Uniti, ma quello che è successo a Capitol Hill parla a tutto il mondo, materializzando la minaccia di un nuovo estremismo di destra che punta a eliminare la democrazia non con dittature di novecentesca memoria, bensì occupando gli Istituti democratici con lo scopo di svuotarli dall’ interno.
La democrazia che, da valore universale, si trasforma in qualcosa di adattabile alle convenienze, deformabile a uso e consumo del potente.
In questo c’è un forte ritardo in termini di consapevolezza del nuovo fenomeno che abbiamo di fronte, infatti c’è voluta la prova del nove dell’ assalto al Parlamento perché diventasse chiara la sfida che abbiamo di fronte in questi primi anni venti del duemila.
Nel mondo ci sono tanti, troppi, fuochi nazionalpopulisti, basti pensare alla Russia, alla Turchia, all’ Ungheria e anche in Italia ci sono tutte le premesse per una involuzione democratica del genere che ho provato a indicare.
È tempo di un cambio di passo nella capacità della politica, intesa nella sua quanto più larga accezione, di affrontare adeguatamente i nuovi gravi problemi nei quali ci dibattiamo.
Sono del parere che il conflitto tra democrazia e populismo è appena cominciato. Siamo solo all’ inizio nello scrivere una nuova pagina di storia, il cui esito non è assolutamente scontato.