Risale al 2016 il punto di non ritorno che ruppe la pace tra i due clan di camorra in guerra per il controllo del Rione Sanità.
Rione Sanità | Quel giorno qualcuno tradi’. Cosi’ il 3 agosto 2016 Salvatore Esposito, che in quel momento era il capozona della popolare area di Napoli nota come il Cavone, e Ciro Marfe’, suo cugino e uomo dei Sequino, furono uccisi in vico Nocelle. Un agguato nel quale rimase ferito anche un altro affiliato alla cosca del rione Sanita’, Pasquale Amodio. Da quel momento la pax mafiosa tra Sequino e clan Vastarella, cementata da una spartizione del territorio e dal pagamento di una percentuale degli introiti dei traffici illegali dei primi ai Vastarella, salto’. Sono state le intercettazioni ambientali nel carcere di Sulmona, dove era detenuto il boss Nicola Sequino, e in quello di Vibo Valentia, dove sconta la pena il fratello Salvatore, a svelare il retroscena del contrasto a colpi anche di ‘stese’ che ieri mattina ha portato all’arresto di 26 persone tra affiliati di spicco e gregari del gruppo che controlla la parte ‘bassa’ del rione.
Le intercettazioni in carcere
Esposito e Marfe’ furono uccisi perche’ chi doveva fare da paciere e garantire l’incolumita’ di tutti aveva tradito. Questo e’ quanto hanno ipotizzato gli investigatori che hanno ricostruito le numerose conversazioni tra Nicola Sequino e suo figlio Gianni e tra Salvatore e la moglie Sonia Esposito, allegate alla misura cautelare emessa dal gip Emilia Di Palma. “Vastarella teneva l’impegno – dice Nicola, riferendosi a Patrizio Vastarella, anche lui destinatario del provvedimento restrittivo ma gia’ in carcere – si’, la responsabilita’ che non doveva succedere nulla”. A questo affronto, i Sequino risposero uccidendo Vittorio Vastarella il 2 settembre del 2016. “Il piano era stato fatto, prendiamo questo bicchiere e poi dopo me la vedo io, invece ha preso due bicchieri e adesso deve vedere come fare”, dice Gianni riferendosi all’omicidio di Esposito, che era finito nel mirino in quanto creava problemi nel rione, e Marfe’ “che invece e’ andato a finire in mezzo”, come sosteneva Nicola.
Il meccanismo della cassa comune
L’indagine dei carabinieri svela anche il meccanismo della cassa comune del clan, dalla quale vengono prelevati i soldi per il sostentamento delle famiglie degli affiliati detenuti. E si va dai 500 euro mensili destinati a mogli e conviventi degli uomini fidati del capo, agli 11 mila euro presi da Sonia Esposito anche per ristrutturare casa (“fatteli dare, poi li restituisco io”, la tranquillizza il marito). Giovanni Sequino, poi, emerge come l’uomo che personalmente tratto’ la consegna di 1,230 chili di cocaina dalle ‘ndrine di San Luca (Rc) e porto’ a Napoli la droga.