L’anacronismo della cultura della vittoria

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L'anacronismo della cultura della vittoria
Durante le recenti Olimpiadi di Parigi 2024, molti giovani atleti italiani hanno sfiorato il podio in varie discipline, con prestazioni eccellenti ma non sufficienti a raggiungere una medaglia.
La reazione dei commentatori sportivi televisivi è stata apertamente critica verso queste prestazioni, comunicando agli atleti stessi la – presunta – delusione del pubblico rispetto alla mancata conquista del successo.
Il tennista Andrea Vavassori, di fronte alla contestazione di un cronista verso un suo errore “decisivo”, ha sintetizzato pacatamente ma in modo chiaro :”Si guarda solo alla vittoria: o medaglia o sei un fallito”.
E tanti sui social hanno stigmatizzato sull’atteggiamento dei cronisti, esprimendo solidarietà e ammirazione ai “mancati vincitori”.
Purtroppo le critiche impietose al mancato raggiungimento del successo sono solo la punta mediatica dell’iceberg di un atteggiamento molto diffuso, al di là dell’ambito sportivo: la cultura della vittoria.
È qualcosa che viene comunicato già ai bambini e ai giovani che fanno sport a livello amatoriale, da genitori ossessionati dell’affermazione del proprio figlio, più che dagli importanti aspetti di aggregazione, divertimento, rispetto degli “avversari” che lo sport comporta. Si insegna ai piccoli a primeggiare ad ogni costo, anche nella scuola, nei rapporti con i propri coetanei.
In realtà, come dimostrato dalle risposte serene e consapevoli di vari giovani atleti rispetto alle critiche dei cronisti, i giovani sono molto diversi da quelli descritti dalla comune narrazione dei media, spesso piu’ maturi della generazione che li ha preceduti.
Il punto è proprio che la generazione dei boomers, ossessionata dalla paura di invecchiare e presa dal proprio delirio di protagonismo, non lascia spazio ai giovani; più precisamente non ascolta nemmeno le loro parole e il loro punto di vista.
Nemmeno il fallimento – che è sotto gli occhi di tutti – della cultura neoliberista fondata sulla esasperata competizione e sull’aggressivita di tanti io contrapposti, fa riflettere il mondo degli adulti sull’esigenza di un radicale cambiamento di prospettiva per il futuro.
Eppure come scrive Walter Brueggemann, la realizzazione di un sogno per il futuro deve essere necessariamente Intergenerazionale. È la storia, anche recente – come ha mostrato la pandemia da Covid-19 – che ci insegna che non si può andare avanti ciascuno per conto proprio, spesso contrapposti, ma solo insieme.
È un cambio di paradigma richiesto a tutti, dalla più tenera età sino alla vecchiaia: senza un orizzonte comune tra generazioni non c’è futuro.
È venuto il momento, non solo di prenderne atto, ma di contribuire personalmente a questa inversione di tendenza. Anzitutto prendendo sul serio e ascoltando i giovani, conoscendone finalmente paure, aspirazioni, sogni, senza soffocarli e/o ingabbiarli nelle rigide strutture del conformismo individualista.
Ma anche dare loro convintamente quella fiducia e quel sostegno emotivo a cui hanno diritto (come del resto ognuno) per dare il loro fondamentale apporto alla costruzione di una cultura e di una società più umana. Proprio perché basata sull’incontro e sulla condivisione intergenerazionale.