“L’aquilotto insanguinato”, Lino Zaccaria racconta Corradino di Svevia

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di Marina Topa.

Lino Zaccaria, giornalista professionista da quasi mezzo secolo, dopo aver lavorato per decenni al “Mattino” ricoprendo il ruolo di redattore capo, è stato vicedirettore di “La Discussione” e, dal 2019 è direttore editoriale di “Napoli quotidiano”; avvocato, ha anche ricoperto importanti incarichi negli organismi di categoria infatti è stato consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, docente al Master in giornalismo dell’università Suor Orsola Benincasa. ma tra i vari impegni non ha risparmiato quello di pubblicare testi come “Napoli verso il terzo millennio (coautore); “Guide turistiche d’Italia”; “Giornalista, manuale per la preparazione all’esame di idoneità professionale”. Con la sua ultima pubblicazione ” L’Aquilotto insanguinato” (Graus Edizioni), affronta una querelle storica mai dimenticata dagli appassionati: l’uccisione di Corradino di Svevia, all’epoca dei fatti appena sedicenne. Corradino era nipote diretto di Federico II, figlio del figlio Corrado. Sceso in Italia con l’intento di riprendersi il trono su cui Papa Clemente IV aveva insediato Carlo d’Angiò, non vi riuscì e durante la fuga post-sconfitta, fu riconosciuto a causa catturato sul litorale laziale, tradito dell’anello imperiale che ancora portava al dito e quindi catturato sul litorale laziale. Lo catturò e consegnò a Carlo d’Angiò Giovanni Frangipane che in passato, con tutta la sua famiglia, erano stati fedelissimi degli Svevi. E da questo particolare nasce la questione: Frangipane deve essere considerato un traditore per averlo consegnato al re angioino?

Questo quesito diventa un punto focale nel saggio di Lino Zaccaria, con precise citazioni sia di quanti si sono schierati per la condanna che di quanti lo hanno assolto.

. Nella prefazione scritta da Pietro Gargano si legge che: “La scrittura è sorvegliata, semplice, volutamente scarna, perché la ricerca della verità non ha bisogno di abbellimenti di maniera. Eppure queste pagine si leggono in un solo respiro, perché lo stile di un cronista vero è fatto di ritmo, di pause sapienti, di idee incalzanti. Il racconto dell’esecuzione è emozionante, nonostante sia privo di toni truci, di dettagli sanguinolenti, di particolari di fantasia come il guanto di sfida lanciato dal morituro, come l’aquila svolazzante. E’ perfetta l’atmosfera di macabro stadio, con la folla accorsa allo spettacolo della morte, con il tappeto rosso fino al palco del boia, orrenda forma di rispetto fasullo per il condannato”.

Piacevolmente insolito per un libro di storia l’intervento di Ciro Discepolo che, descrivendo il quadro astrale del protagonista e risolve la disputa affermando che la tragica morte di Corradino fosse scritta nel suo destino e un’intervista ad una medievalista famosa, la professoressa Gabriella Piccinni che afferma che tra Carlo d’Angiò e Corradino i maggiori consensi propendono per quest’ultimo per la più naturale simpatia.