Smettiamola di giudicare le madri e lasciamole libere di esprimere gioie e dolori della maternità

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Il pregiudizio è donna. E non si dica che non sia così, perché basta vedere quanto accaduto alla blogger Paola Turani per capire che, purtroppo, è questa la verità.

Lei che quando mostrava i capi più glamour, paillettes e momenti di spensieratezza veniva idolatrata da tutti, oggi che mostra senza filtri la sua quotidianità di madre di un bambino di soli nove mesi, si ritrova, invece, ad essere la cattiva di una storia raccontata male da chi, senza realmente conoscere la vita di una persona, non fa altro che puntarle il dito contro accusandola di non essere una buona madre, per aver manifestato, come è giusto che sia, ansie, paure e stanchezza che la maternità comporta.

No, la storia del personaggio pubblico che deve accettare le critiche non vale, non in questo caso, non quando, in pasto ai leoni, viene data una donna, una madre che di manifestare ciò che prova ne ha tutto il diritto.

Perché, sì, mettere in risalto che la maternità non sia solo costituita da inspiegabile felicità è un diritto e noi che siamo dall’altra parte, fermi a guardare, non dobbiamo fare altro che restare in silenzio e rispettare ciò che quella persona sta provando in quel momento.

La verità, però, è che siamo incapaci di rispettarli, gli altri e preferiamo percorrere la strada più semplice, quella che percorrono tutti, fatta di critiche senza fondamenta, perché abbiamo paura che esprimere un’opinione diversa ci renda protagonisti del giudizio altrui.

Quel giudizio che, nonostante diciamo non ci condizioni, in realtà ci condiziona più di quanto immaginiamo, al punto da farci seguire la massa e dire che, chiunque, a cominciare dalla Turani si lamenti di alcuni aspetti della maternità, non meriti le gioie di quest’ultima.

Che poi, se proprio vogliamo dirla tutta, certi pregiudizi non riguardano solo le madri, ma hanno una connotazione un po’ più ampia, che prende tutte le donne, qualunque sia la loro età e il lavoro che svolgono.

É ben noto, infatti che, se ad esempio una ragazza che non ha ancora raggiunto i trent’anni lavori e dica quanto estenuante sia l’orario di lavoro, esprima parere negativo riguardo cose ad esso inerenti e indossi vestiti che secondo la società sono poco adatti all’ambiente lavorativo, non venga ritenuta professionale e le venga detto di restare in silenzio, di continuare a lavorare, perché alla sua età è già fortunata ad averlo, un lavoro.

O, cosa ancora peggiore, se si vive lontani da casa per coltivare le proprie ambizioni, realizzare i propri sogni e uno dei genitori presenta condizioni di salute difficili, si viene tacciati di essere un cattivo figlio, uno che non prova rispetto nei confronti di chi gli ha dato la vita.

Come se la professionalità, le competenze, lo stato d’ animo di una persona dipendessero dal fatto che si lamenti oppure no, dai vestiti che indossa o dal luogo in cui vive.

Cosa ci rende certi del fatto che una madre che non manifesta le proprie ansie e paure, sia migliore di una che non si preoccupa del giudizio altrui e manifesta quello che prova?

Niente, nessuno.

Perciò, dal momento che non si hanno certezze in merito, meglio astenersi dal giudicare.

Ben vengano, in una società in cui si tende a nascondersi, donne come Paola Turani, che non hanno paura di dire la verità, che non hanno paura del giudizio altrui.

Ben vengano affinché chi le guarda smetta di sottolineare quanto siano sbagliate e inizi a rendersi conto che, l’unica cosa sbagliata, sia nascondersi, lasciare che emerga solo la parte bella delle cose per paura di essere giudicati.

Indossiamoli, ogni tanto, i panni altrui prima di parlare.

E le donne, soprattutto le madri, lasciamole libere.

Libere di esprimere le gioie, ma soprattutto i dolori, perché che piaccia o no, la maternità è fatta anche di questo e di parlarne se ne sente il bisogno.

Un bisogno che abbiamo, oggi più che mai ,il dovere di rispettare senza proferire parola.

di: Anna Adamo