L’ attuale segretario alla Giustizia statunitense, William Barr, ha dichiarato, a proposito delle accuse di brogli elettorali continuamente formulate da Trump: “abbiamo indagato sulle presunte frodi e non abbiamo trovato nulla che possa ribaltare il risultato”.
Quindi, anche le improbabili residuali speranze da parte di qualcuno di confermare in qualche modo una Presidenza Trump, vengono meno. Volenti o meno, tutti dovranno rassegnarsi alla nuova Presidenza Biden che certamente darà una svolta sostanziale rispetto agli ultimi quattro anni di gestione “trumpiana”. Una svolta che si caratterizzerà soprattutto in politica estera, in quanto in tale materia il Presidente statunitense è meno vincolato dal Congresso e dal Senato.
È abbastanza prevedibile che la nuova amministrazione, facendo sua la tendenza della società americana, sarà prudente su eventuali interventi militari.
Già prima di Trump, era emersa la consapevolezza dei limiti della propria influenza e che le guerre sono relativamente facili da iniziare, ma sono maledettamente difficili da chiuderle, se per chiuderle si intende non una pace intesa come assenza di conflitti, bensì una paziente e costante azione di ricucitura delle fazioni in lotta tra loro. Questo comporta un forte e competente rafforzamento della capacità diplomatica multipolare.
Ma negli ultimi anni, è emersa un’ altra consapevolezza e cioè che un eccessivo arretramento lascia campo libero a potenze autoritarie. Un esempio emblematico di ciò è la Siria.
La sfida storica attuale si caratterizza per una competizione ideologica di nuovo conio: tecno – democrazie contro tecno – autoritarismi con tutto il peso che comporta l’ interdipendenza economica.
In tale ambito, assume una particolare importanza la proposta di un Summit delle democrazie che la presidenza Biden sembra voglia fare. Un Summit che metterebbe insieme gli Stati Uniti, i più forti Paesi europei e le democrazie “indo – pacifiche” (Giappone, Corea del Sud, Australia, India) che dovrebbe avere come scopo quello di difendere la democrazia da tendenze illiberali interne ed esterne.
È un obiettivo che, almeno su un piano teorico, dovrebbe trovare una adesione da parte dell’ Europa, ma la cennata interdipendenza economica può limitare tali intenzioni, a partire dalla Germania che teme una ulteriore complicazione commerciale nei rapporti con le grandi economie autoritarie con il serio rischio di una nuova guerra fredda.
La logica basata fortemente su “democrazia contro autoritarismo” comporterebbe il rischio, tra l’ altro, di una alleanza tra la Russia e la Cina, probabile contraltare dell’operazione geo – politica citata.
Inoltre, l’ Europa, a giusta ragione, potrebbe temere passi indietro, in considerazione del fatto che il fautore della “diffusione della democrazia” è stato soprattutto Bush con i risultati che tutti conoscono, nonostante che l’ attuale nascente presidenza americana non parla di “esportare” la democrazia, ma di difenderla e consolidarla nei suoi attuali perimetri.
Infine, c’è un altro aspetto della proposta del Summit che potrebbe suscitare delle forti perplessità ovvero che l’ allargamento verso il Pacifico del club delle democrazie rappresenta, di fatto, un ridimensionamento dell’ Europa nel quadro dello scacchiere mondiale.
Comunque, in un momento storico di forte crisi della democrazia che ha investito tutti i Paesi che si riconoscono in questo tipo di impalcatura istituzionale, pone in modo cruciale la improrogabile necessità di un nuovo e migliore assetto delle relazioni internazionali delle nazioni democratiche, indipendentemente dai miglioramenti che all’ interno delle stesse si vorranno apportare per migliorare i processi democratici.
La democrazia, come ribadito da una abusata frase, è un sistema politico imperfetto, ma non ne esistono di migliori, tenuto conto che, ogni volta che si è voluto aggiungere un “aggettivo” al sostantivo “democrazia” si è sempre negata l’ essenza di fondo della stessa.
In conclusione, anche in ordine alle tematiche che ho provato a indicare in modo sintetico, emerge sempre più l’ urgenza di costruire in tempi rapidi, superando incertezze e resistenze di ogni genere, un solido soggetto europeo capace di avere un forte peso nelle dinamiche mondiali.
La prevedibile scelta multipolare di Biden pone, tra le tante questioni, anche una certa reattività dell’ Europa, in quanto siamo nel pieno di un sommovimento epocale del mondo e non in un tranquillo passaggio di fase storica.