Le risposte sbagliate per un rinnovamento della politica

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Nelle realtà locali, le elezioni per il Sindaco suscitano un particolare interesse molto più rispetto alle elezioni politiche nazionali e/o europee. Infatti, i diversi soggetti presenti sui territori si sentono molto più coinvolti, perché il rapporto con il Sindaco costituisce di fatto la prima dimensione istituzionale che dovrebbe recepire, filtrandole, le istanze dal “basso” che sono le più disparate. Inoltre, l’ Italia ha una forte tradizione municipalistica che ha segnato nel bene e nel male il tipo di partecipazione politica e civile. In fondo, rimaniamo in larga misura ancora il Paese dai cento campanili.
Fino alla fine degli anni ottanta, i partiti nazionali riuscivano a recepire e a contenere una certa dimensione municipalistica delle istanze politiche inglobandole in radicate culture politiche che avevano una loro visione nazionale in termini di gestione della cosa pubblica pur partendo da specifici territori.
Questa capacità politica riduceva quel fenomeno sociale teso a una sorta di alterità territoriale rispetto al resto della nazione italiana e incanalava in giusti circuiti istituzionali le istanze locali. Venute meno le progettualità caratterizzate da un respiro nazionale in grado di rendere politicamente partecipi i diversi territori, hanno trovato gradualmente, ma inesorabilmente spazio soggetti politici a forte, ma malinteso radicamento territoriale, le cui più evidenti espressioni le troviamo in un certo leghismo ancora a forte trazione nordista e nel neoborbonismo che rilancia una sorta di mitologia di un passato meridionale preunitario fatto di preminente splendore.
In mezzo a questi due estremi, esiste una intelaiatura territoriale incentrata ad acquisire quanto più possibile benefici economici dal Governo centrale, ma non con una  visione di insieme delle problematiche che affliggono le comunità locali. Questo è una dei tanti effetti della crisi della politica che si trascina da troppo tempo, basti tenere conto che il meridionalismo che è stato un potente pensiero socio – economico ha attraversato tutte le culture politiche nazionali, infatti trascendeva da un sud fatto di vittimismo e indicava concretamente le traiettorie di sviluppo del meridione come base irrinunciabile di rilancio dell’ intero Paese.
Una delle risposte alla scomparsa dei partiti di massa agli inizi degli anni novanta, è stata l’ elezione diretta dei Sindaci che in quegli anni aveva una sua validità e ha dimostrato anche una sua efficacia in termini di buona amministrazione, ma ha costituito, nel contempo, un ritardo e un alibi nel rinnovare radicalmente le culture politiche.
Tant’è che la carica di Sindaco è diventata la carica politico – istituzionale maggiormente offerta a persone che provengono dalla società civile che da un lungo periodo viene contrapposta a quella politica, facendo diffondere l’ idea che l’ unico modo per restituire una anima alla politica è quello di attingere leader, o presunti tali, da attività professionali lontane dagli spazi più propriamente politici.
Questa soluzione alla crisi della politica sta dimostrando sempre di più di essere di corto respiro e di avere come effetto collaterale anche quello di minare la credibilità di altre importanti funzioni dello Stato democratico.
Mi riferisco al fatto che diversi magistrati si candidano a ruoli politici elettivi anche in zone dove esercitano la loro funzione giurisdizionale.
A Napoli, abbiamo addirittura un caso in cui un Magistrato,  non confermando, né smentendo la sua candidatura, continua a esercitare le sue delicate funzioni nel luogo in cui molto probabilmente sarà uno dei candidati a Sindaco.
Bene ha fatto, quindi, il Procuratore Generale della Corte di Appello di Napoli a comunicare al CSM tale situazione, ma il massimo organo di governo della Magistratura ha archiviato tale comunicazione, rinunciando a fare chiarezza.
Ma questo fenomeno, in generale, ha assunto aspetti davvero preoccupanti, tenuto anche conto del caso Palamara, che ha letteralmente devastato il mondo giudiziario, proprio per gli intrecci, incontri e conversazioni di magistrati con politici, provocando l’ adozione di pesanti sanzioni disciplinari che sono giunte fino alla destituzione dall’ ordine di Luca Palamara e alle dimissioni di alcuni consiglieri dal CSM.
Il bene più prezioso per la Giustizia è l’ imparzialità e l’ indipendenza della Magistratura sia nel dato formale che in quello sostanziale. La Magistratura deve non solo essere imparziale ed indipendente ma anche apparire come tale agli occhi del cittadino. Un candidato ad elezioni, e particolarmente a quelle per il Sindaco, ha rapporti con ampi strati della popolazione di ogni genere e di ogni fascia sociale per valutare l’ affidabilità e la giustezza delle istanze che esse muovono sul territorio. Per un Magistrato ciò è l’ esatto contrario di quello che normalmente fa o dovrebbe fare, perché  è ovvio che per lui non è opportuno avere incontri con personale politico e con fasce rappresentative delle istanze sociali. In questo modo, si apre la strada ad una dilagante, reciproca commistione tra Magistratura e politica che i fatti di Palamara hanno dimostrato di essere un sistema di relazioni in contrasto con la Costituzione.
Credo che la politica debba avere uno scatto di orgoglio, ricostruendo una sua autonoma capacità di rinnovamento e di lettura della odierna società con conseguenziale posizionamento in ordine alla dialettica che la società stessa produce. Questo costituirebbe motivo per cessare “l’ impiego” di esponenti della società civile privi della necessaria preparazione per assumere funzioni politiche. Ma al fine di tutelare soprattutto il prestigio della Magistratura, è urgente l’ approvazione di una legge che neghi la possibilità per un Magistrato di candidarsi nello stesso luogo dove ha svolto la sua funzione istituzionale.