Anche se viviamo in una epoca caratterizzata dalla evanescenza delle culture politiche, non può non colpire una sorta di convinto europeismo che ha ripreso piede in modo quasi incontrastato. Certo, la pandemia, dalla quale non ne siamo ancora usciti, ha rovesciato completamente i parametri sociali e questo non poteva non avere delle ricadute nella politica di casa nostra. Ma fa una certa impressione vedere che persino la leadership leghista in questo momento non si sognerebbe minimamente di proseguire una battaglia fieramente antieuropeista.
Le scelte di Draghi
Salvini in queste ore, giusto per darsi un tono, ripropone un paio di caposaldi di quella che fino a ieri potevamo considerare la ideologia leghista: la flat tax e l’ abolizione del reddito di cittadinanza. Colpisce che non fa alcun riferimento alla questione delle migrazioni, una prova evidente che quest’ ultimo non è più in cima alle preoccupazioni degli italiani. Non ha più un consistente ritorno di voti nella eventualità di un ricorso alle urne.
E questo a ulteriore dimostrazione della strumentalità del fenomeno migratorio da parte leghista e non solo.
Il nanismo politico che domina il nostro Paese è tale che di fronte all’ autorevolissima designazione di Draghi a Presidente del Consiglio dei Ministri, c’è un sostanziale unanimismo per la sua nomina.
Qualche iniziale borbottio di dissenso sta gradualmente rientrando anche perché è plasticamente evidente il crollo del sistema dei partiti che avrebbero dovuto ricostruire la credibilità e il prestigio della politica dopo l’ implosione di quella che viene chiamata prima Repubblica. Sono del parere che tra non molto le allenze politiche partoriranno nuovi soggetti politici sia nel centro destra che nel centro sinistra.
Questo pone ancora una volta la necessità della costruzione di un partecipato e diffuso pensiero politico che faccia a meno del risentimento e della rabbia come elementi di costruzione fondante di formazioni politiche. Per troppo tempo, inoltre, abbiamo avuto partiti personali che non hanno migliorato la capacità di direzione politica degli eventi sempre più caotici e sovranazionali.
Non è un caso che l’ enorme prestigio di Draghi è in gran parte dovuto al fatto che egli, nelle sue varie funzioni che ha rivestito, ha sempre avuto una capacità di sguardo e di azione non esclusivamente nazionale, anzi egli esprime quanto compiutamente e convintamente un approccio europeista nella gestione della cosa pubblica.
Infatti, non dimentichiamo che il successo economico di un Paese come l’ Italia – ed il successo politico dei suoi Governi – è indissolubilmente legato alle prospettive del nostro blocco, dell’ economia mondiale e dei partner commerciali, soprattutto dopo una esperienza drammatica come quella che stiamo vivendo.
Anche da questo punto di vista la scelta di Mario Draghi da parte del Presidente della Repubblica è stata perfetta: non ci poteva essere un personaggio migliore e la recente posizione di Conte in ordine al nascente Governo è di buon auspicio sia per superare l’ impasse attuale, sia per evitare la frantumazione dello schieramento progressista che nell’ ultimo anno e mezzo si stava consolidando intorno alla sua persona.
Senza alcun dubbio, Draghi ha davanti a sé immani compiti e, quando sarà il momento delle scelte, l’ attuale coro di consenso politico avrà dei ripensamenti. Basti pensare che in breve tempo dovrà provvedere a disinnescare la bomba sociale che potrebbe esplodere a fine marzo, quando scadrà il blocco dei licenziamenti e, quindi, il modo con il quale provvederà a fronteggiare tale drammatico problema non potrà non avere effetti sulla maggioranza politica che lo sosterrà. Anche per lui finirà la luna si miele.
Per non parlare del Recovery Plan che quasi sicuramente lo riscriverà e in quella fase ancora di più conteranno le scelte che si faranno in quanto certamente gli aiuti europei non si trasformeranno in aiuti a pioggia e questo creerà delusioni non di poco conto.
La discriminante passerà su che tipo di rilancio economico vogliamo avviare per il nostro Paese.
Come saranno affrontate le annose e storiche disparità territoriali, nonché le diseguaglianze sociali e quelle di genere; come avviare in modo concreto una economia rispettosa dell’ ecosistema e tanto altro ancora.
Sono grandi questioni da far tremare le vene ai polsi a chiunque e, come già detto, le scelte che si faranno produrranno impatti rilevanti in Parlamento e fuori, ma una cosa è certa e cioè che osservazioni politiche di corto respiro di fronte all’ autorevolezza di Draghi non avranno consensi larghi.
Ho l’ impressione che nel senso comune si sta facendo strada l’ idea che in politica i dilettanti, tutti coloro che raggiungono ruoli apicali senza aver attraversato gli spazi intermedi della dialettica democratica non sono per niente adatti per fare funzionare meglio la macchina dello Stato. La direzione politica di una comunità è per sua natura una cosa complessa, abbisogna di una non facile preparazione.
Occorre una robusta preparazione culturale di base e di un tirocinio politico che non si improvvisa. L’ epoca di “uno vale uno” è tramontata e questo sta a significare che la rappresentanza politica cessa di essere una “rappresentazione”. Torna alla sua vera essenza: genuino tentativo del raggiungimento del bene comune e non messa in scena di un balbettio politico.
Certo è una concezione forse troppo nobile della politica, ma il degrado culturale a cui assistiamo da troppo tempo inizia a essere rifiutato dagli italiani. Sta prendendo piede un desiderio di inversione di tendenza anche in tal senso. Penso che ciò sarà favorito di molto dallo nuovo stile di governo che il neopremier imporrà ovvero dalla profonda conoscenza degli affari di Stato con relativi provvedimenti governativi non superficiali. Forse assisteremo alla fine della banalizzazione, almeno in ambito governativo.