di Marina Topa.
Grande il valore educativo di questo libro che è frutto di un lavoro intenso e coinvolgente realizzato nel corso di un Progetto Laboratoriale negli anni scolastici 2018/19 e 2019/20 di “Educazione ai Sentimenti” al quale hanno aderito ben cinque licei napoletani.
L’ideatrice del progetto è stata la professoressa Laura Capobianco che ne ha anche curato il prodotto editoriale, segno tangibile dell’impegno dei ragazzi e per loro giusto motivo di orgoglio.
Partendo dall’osservazione dell’inadeguatezza della funzione genitoriale e dell’influenza di modelli sessisti trasmessi dai media nell’educazione al rispetto di sé, dell’altro e delle diversità, si è giunti ad un protocollo d’intesa tra la Consulta Regionale per la condizione della Donna ed il Dipartimento Socio-sanitario dell’ASL Napoli I. I docenti, guidati dal dottor Dario Aquilina, psicologo e psicoterapeuta, in orario curricolare e nell’ambito delle loro discipline d’insegnamento, hanno avvicinato i ragazzi alla conoscenza storica del ruolo riconosciuto alle donne. Questo processo ha portato gli studenti ad individuare e liberarsi da stereotipi sessisti dai quali, purtroppo, loro stessi sono stati inconsapevolmente influenzati e così hanno iniziato in modo del tutto spontaneo, grazie ad un ascolto empatico, a raccontarsi e a raccontare attraverso poesie, diari autobiografici, haiku.
Il 26 novembre 2018, in un convegno spettacolo al teatro San Ferdinando, sotto la regia del professor Maurizio Fiorillo, il progetto “Legami slegati” ha dato il resoconto del lavoro svolto e dell’incidenza positiva che ha avuto sui ragazzi che, oltre ad essersi avviati a “una buona pratica della relazione nell’educazione di genere” (come sottolinea la professoressa Floriana Coppola nella postfazione del libro), hanno vissuto anche l’esperienza di esprimere la propria creatività nella costruzione dello spettacolo (testi, scenografia, costumi, musiche, ecc.) che è stato replicato nell’aula magna del liceo Genovesi e in versione ridotta nella sala consiliare della Regione Campania per la presentazione del progetto di Educazione ai Sentimenti promosso dalla Consulta nella Giornata contro la violenza di genere il 27 novembre 2019.
– Silvana Rinaldi, docente di storia e filosofia e responsabile del progetto per il liceo Mazzini, ci racconta cosa ha rappresentato per lei questa esperienza.
– Mi sono resa conto che i ragazzi hanno scoperto il piacere di liberarsi della maschera che ognuno si era costruita nel tempo come autodifesa nel rapporto con gli altri ed hanno imparato ad accettarsi ciascuno per quello che è. In molti hanno dimostrato una grande solitudine, un bisogno insoddisfatto di ascolto, scambio, e riconoscimento da parte degli adulti delle loro qualità. E’ quindi necessario che noi adulti facciamo il primo passo verso di loro, che sentano che possono parlare perché non vogliamo giudicarli.
Dopo un percorso di formazione da parte del dottor Aquilina e della dottoressa Volpicelli, come gli altri colleghi, ho affrontato il primo step: proporre ad una mia classe, che ne è stata subito entusiasta, di preparare un prodotto per la giornata nazionale contro la violenza sulla donna.
Ho proposto “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood, che narra di un futuro distopico in cui le donne sono deprivate di ogni diritto e di ogni dignità. La lettura ha impressionato sia i ragazzi che le ragazze. Hanno osservato che molti passaggi del racconto sembravano quasi minacce attuali, in una realtà che vede tornare la violenza sulle donne molto spesso nei fatti di cronaca e nelle esperienze personali di alcune alunne. Ci sono stati momenti delicati e difficili in cui si sono condivise emozioni e richieste di aiuto. Sono scattate riflessioni e confronti su cosa significhi realmente essere innamorati e avere un compagno/a. Si è discusso anche sulle discriminazioni rispetto a orientamenti sessuali diversi, situazione molto sentita attualmente fra gli adolescenti… E’ stato interessante vedere come i ragazzi si sono calati nelle parti da impersonare e hanno proposto un finale un po’ diverso che ha previsto la presenza di ben due maschi che aiutano le donne a liberarsi. Questo finale dà un messaggio e una speranza di accordo, solidarietà e comprensione tra uomo e donna ma soprattutto tra gli esseri umani tutti. Il copione è stato recitato all’interno di uno spettacolo presso il Teatro San Ferdinando di Napoli che ha visto la partecipazione di una decina di scuole. Il lavoro è poi continuato ma all’improvviso è scoppiata la pandemia…e tutto sembrava essersi fermato. Abbiamo iniziato, con molta fatica, le lezioni a distanza, la DAD, preoccupati, noi docenti, di portare a termine il programma scolastico. Durante le lezioni ci si vedeva in uno schermo, e a stento sembrava realizzarsi una comunicazione, poi è successo qualcosa… I ragazzi hanno cominciato ad aprirsi e a esprimere il loro malessere e a raccontare come si sentivano chiusi in casa. Ho pensato allora di farli scrivere, di far mettere su carta quello che raccontavano. Anche questo in fondo, era educazione ai sentimenti…Così, il progetto, interrotto bruscamente per la chiusura delle scuole, poteva riprendere. Sono arrivate decine di testi, filmati, foto, anche da altre mie classi che non erano nel progetto.
Tutti i testi poi sono diventati parte del libro “Legami slegati” curato da Laura Capobianco, a testimonianza del fatto che i sentimenti non si fermano e che, in ogni situazione, i ragazzi, se li ascoltiamo, ci parlano, si aprono.
Questo progetto mi ha dato la possibilità di mettermi in gioco, di dimostrare a me stessa che sono capace di ascoltare i miei alunni e mi conforta l’idea di poter in qualche modo contribuire a formare adulti consapevoli e coscienti. In ultimo, io ho un proposito che ho letto da qualche parte e che mi piace tanto: voglio provare ad essere l’adulto che avrei voluto accanto io da piccola. Il bello di questo lavoro è la possibilità di rapporti umani autentici e la possibilità di poter incidere in qualche modo sulla crescita dei ragazzi. Attraverso loro, rivedo il mio percorso di crescita e capisco molto di più di me stessa.. Credo infatti che, al di là delle apparenze, della sicurezza e della spavalderia che mostrano molti giovani, in realtà si sentano molto soli e, inevitabilmente, vivono e subiscono, pur talvolta provocandola loro stessi, la frattura con il mondo degli adulti, genitori, docenti… .
– Durante il lockdown si è registrata una recrudescenza di atti di violenza contro le donne soprattutto in ambito familiare. Nel corso del vostro lavoro pre-covid già avevate rilevato questo problema riscontrando, purtroppo, un atteggiamento giustificatorio o comunque di accettazione da parte di molte ragazze delle vessazioni subite in nome dell’amore. Laura Capobianco, ideatrice del progetto e curatrice della realizzazione editoriale, secondo te come si può spiegare un simile fenomeno?
–Non so se durante la ‘chiusura’ in casa ci sia stata una recrudescenza di violenza contro le donne, i dati a riguardo si confondono con quelli della malattia, in un tempo in cui mi sembra di essere sommersa da numeri fino a creare l’impressione di una bolgia in cui i numeri li diamo un po’ tutti. Si vive in uno stato di precarietà e confusione e diventa difficile ragionare di fronte ad un evento inaspettato ma non inaspettabile se solo fossimo stati più attenti a segnali di ogni tipo; penso che siamo stati sordi di fronte a malattie, guerre, distruzioni del territorio, convinti come siamo da un po’ di generazioni di essere indistruttibili, vincenti e felici. Riguardo il nostro tema mi sembra comunque di poter dire che più il contesto è complesso più si aggravano i fenomeni di violenza cui ci riferiamo, che hanno peraltro radici antichissime e che, pur apparentemente nuovi e diversi, hanno tutti la stessa origine: l’organizzazione sociale patriarcale, l’idea che tra i generi maschile/femminile ci debba essere un’asimmetria dal momento che l’uomo è superiore alla donna perché è più forte quindi è in qualche modo legittimato ad usarla, domarla, abusarla fino a disporre della sua vita, dal momento ché tutto ciò accade ‘per natura’.
Ho scritto più sopra di diversità e mi riferisco al fatto che il femminicidio non è mai scomparso (l’unico vantaggio dell’oggi è che se parla di più e lo si può denunziare con qualche successo) ma ha assunto oggi forme diverse che lo fanno sembrare un fenomeno nuovo. E’ fuor di discussione che la relazione uomo/ donna sia diversa; la storia contemporanea ci mostra che le donne, grazie alle loro lotte, soprattutto a quelle novecentesche sono più libere, hanno conseguito in tanti campi parità di diritti, a volte riescono a raggiungere posizioni dirigenziali. Gli uomini invece sembrano non riuscire a stare al passo con loro, non hanno iniziato percorsi di autocoscienza, non si sono messi in relazione tra di loro se non nelle forme del passato, il gruppo di tifosi del calcio fino alle bande adolescenziali dove possono rassicurarsi sulla loro superiorità di maschi. Eppure l’invito delle donne a cambiamenti è venuto in tanti modi e del resto, bisogna riconoscere che parte della società oggi attraverso tanti segnali, anche di tipo giuridico, contrasta il patriarcato. In definitiva mi sembra di poter sostenere che da un po’ di tempo, e la pandemia c’entra poco, ci troviamo in bilico tra il vecchio e il nuovo: da un lato le donne che si sentono e sono emancipate, ma a volte non riescono a non ricadere in stereotipi sessisti, ne nomino uno molto noto che Lea Melandri definisce ‘il sogno d’amore’ che è poi l’aspetto peggiore della relazione affettiva perché le donne non sembrano voler rinunziare all’amore romantico in nome del quale accettano soprusi, sottomissioni e maltrattamenti. Gli uomini a loro volta hanno capito che devono rinunziare all’idea di superiorità, in qualche modo oggi sanno di non poter sempre avere la meglio, ma non avendo gli strumenti, la cultura e la consapevolezza in primis, esprimono la loro paura ricorrendo alla violenza.
E’ per questa ragione che a noi sembra che la scuola possa fare la sua parte anche attraverso l’educazione ai sentimenti; oggi c’è bisogno di imparare a mettersi in relazione con l’altro, imparare ad ascoltare i proprio bisogni e i propri desideri ma insieme all’altro. Spesso l’altro è uno sconosciuto di cui non sappiamo nulla, ma così anche noi finiamo con il non sapere chi siamo. Ci sono tecniche a riguardo, esperienze, percorsi già sperimentati e se un tempo a scuola e prima ancora in famiglia si apprendevano i ruoli sociali già predeterminati che spesso in verità procuravano infelicità ma anche percorsi di vita definiti, oggi quei tracciamenti bisogna cercarli, crearseli con un lavoro grande che richiede volontà, disponibilità, coraggio se vogliamo uscire dal caos del nostro tempo. In questo momento storico ragazzi e ragazze devono cercarsi e sapersi incontrare non solo fisicamente e devono trovare negli adulti persone disponibili ad aiutarli mettendosi in gioco e capaci di dare fiducia e forme di sicurezza. ’.
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