di Vincenzo Vacca
L’ emergenza sanitaria scaturita dalla pandemia del Covid 19 si è fortemente attenuata anche se non possiamo considerarla definitivamente superata. Essa ha originato un’altra emergenza, quella economica. Tantissime persone hanno perso il proprio lavoro e questo sta determinando dei veri e propri drammi personali e famigliari. Si sono salvate dall’infezione del coronavirus, e non sempre, ma rischiano di soccombere in quanto catapultati nell’ espulsione dal luogo del proprio lavoro. Prima della diffusione del virus, tanti avevano fatto progetti di vita, acceso mutui, intrapreso una vita di coppia, presa la decisione di diventare genitori e tanto altro. Adesso, invece, si trovano di fronte allo spettro di una discesa nella povertà.
Indubbiamente il Governo ha adottato dei provvedimenti finalizzati a lenire questa drammatica situazione, ma sono stati insufficienti. Una insufficienza dovuta sia ai ritardi della burocrazia, sia al fatto che molte categorie lavorative e professionali non rientrano nelle misure governative. C’è stata una fase nella quale si è atteso che l’ Unione Europea prendesse delle decisioni in favore dei Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia, tenuto conto che non rappresentava solo una forma di solidarietà nei confronti di quei Paese, per quanto già solo questo sarebbe stato un motivo sufficiente per un intervento europeo. Ma, a giusta ragione, si è consolidata a livello comunitario la consapevolezza che per gli inanellamenti economici, una situazione da default statuale di qualche nazione avrebbe provocato un problema serissimo per l’intera Unione Europea. È stato necessario superare le perplessità, se non un vera ostilità, da parte di alcuni Stati aderenti all’ U.E., in particolare da parte dei cosiddetti “Paesi frugali” e non è certo che, in qualche necessario passaggio di approvazione comunitaria definitiva dei finanziamenti europei, non si manifesti qualche ulteriore opposizione.
Comunque, un indiscutibile cambio di passo dell’U.E. è avvenuto, già con la decisione di fare venire meno la parità di bilancio, uno dei cardini principali di quello che è stato definito l’ordoliberismo che ha preso piede con la crisi del 2007/2008. Di fronte a una crisi profonda del turbo capitalismo di natura spiccatamente finanziaria, si sosteneva che i Paesi fortemente indebitati, se volevano ottenere aiuti da parte dell’Unione Europea, dovevano preliminarmente sopperire ai debiti dei propri bilanci. Uno dei massimi alfieri di tale teoria economica è stato l’allora ministro tedesco delle finanze Schauble, a giusta ragione definito il “falco”. La Grecia rimase vittima di questa teoria economica con lacrime e sangue. Ecco perchè non è di poco conto il venir meno del tabù della parità di bilancio. Inoltre, come accennato precedentemente, sono stati decisi una serie di finanziamenti come il Sure, il Mes per le spese sanitarie senza condizionalità, Recovery Fund e altro ancora.
Se si pensa che fino a poco tempo fa il dibattito pubblico e politico era incentrato sulla opportunità di rimanere nell’Unione Europea o di uscire dalla moneta unica europea, a fronte di uno scenario di questo tipo, è stato completamente travolto ogni forma di euroscetticismo. Adesso il Paese deve dimostrarsi degno di questo soccorso economico di ingente entità: utilizzare gli aiuti per mettersi su un sentiero di crescita sostenibile che ci permetta di espandere l’economia costruendo una domanda aggregata. Questo permetterà anche di ridurre il debito pubblico.
Abbiamo invocato per anni i sussidi europei, ora dobbiamo dimostrare di saperli spendere. Se si tiene conto del fatto che, nonostante i trasferimenti di bilancio avvenuti per diversi decenni nel nostro Mezzogiorno non siamo riusciti a portare i redditi pro capite simili al Nord del Paese, abbiamo una grossa responsabilità.
Da tutto ciò emerge l’ importanza di uscire da una logica di interventi a pioggia ovvero da una mera logica emergenziale. Occorre già nei prossimi giorni delineare una ampia e concreta visione del prossimo futuro economico e sociale del Paese. Individuare gli assi economici portanti sui quali fare leva per costruire una economia, un Paese al fine di un superamento delle debolezze storiche.
Una idea del Paese volto a una sostanziale diminuzione delle disuguaglianze sociali e che ridia centralità al lavoro. Perché non pensare, ad esempio, a un grande progetto di riassetto idrogeologico che produrrebbe tanto lavoro e ci farebbe uscire da tutte quelle emergenze originate da alluvioni, terremoti, etc..
Nell’agenda politica deve tornare a pieno titolo la politica economica, restituendo allo Stato una funzione di stimolo e di indirizzo. Di fatto, il nostro Paese ha ottenuto maggiori risultati economici, in termini di diffusione del benessere, allorquando lo Stato ha svolto una funzione non secondaria nella programmazione economica. Certo. Successivamente ci sono state delle degenerazioni, ma queste ultime non devono diventare l’alibi per promuovere una visione liberista della economia che ha, invece, aumentato diseguaglianze e povertà. Inoltre, un Paese inclusivo che colga in pieno le opportunità della presenza dei migranti. Le politiche migratorie, se ben gestite, possono costituire un arricchimento da tutti i punti di vista.
Come non mai, i tempi sono fondamentali in questa attività di ripresa economica che ci accingiamo a fare. Siamo in presenza di una potenziale bomba sociale che metterebbe in discussione la tenuta democratica. Gli effetti devastanti della pandemia vanno tempestivamente ed efficacemente contrastati, altrimenti la rabbia sociale non avrà argini. Ci sono forze, soggetti che sperano in un fallimento dell’ opera di ricostruzione economica e che soffiano sul fuoco in questo periodo così drammaticamente difficile.
Ci sono già state proteste violente, ma per il momento confinate a gruppi di matrice fascista e con il ritorno sulla scena di alcuni personaggi bizzarri, come il Generale in pensione Pappalardo. Già protagonista di altri episodi del genere, come quello dei Forconi.
Le classi dirigenti italiane, nell’accezione larga di questa categoria, devono dimostrare di essere all’altezza dei gravosi compiti che abbiamo di fronte.
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