La porta si aprì, e l’acchiappasogni emise la solita delicata melodia. La proprietaria l’aveva comprato durante un viaggio in Sudamerica quando era giovane, più o meno nel Cretaceo superiore, e ci teneva moltissimo; la ragazza invece lo trovava snervante.
Non che suonasse troppo spesso, a dire il vero. In una città in cui la lettura non rientrava tra le esigenze primarie degli abitanti, una libreria antiquaria era un pessimo affare. Peraltro non godeva di una posizione strategica. Ubicata ai margini delle vie del passeggio, non intercettava chi era a caccia di un regalo insolito e nemmeno chi, recandosi in ufficio, era disposto a fermarsi per apprezzare un’edizione illustrata dei Viaggi di Gulliver o de La Dame aux Camélias […].
La ragazza era iscritta a Economia, e avrebbe potuto comporre un tomo di circa ottocento pagine elencando le ottime ragioni che sconsigliavano di avviare una simile attività, per giunta in un punto così defilato. Eppure, un mese e mezzo prima, mentre cercava una panchina per ammirare il panorama e ripassare Diritto privato, aveva ringraziato la provvidenza notando l’annuncio di un lavoro pomeridiano, scritto su un cartello da una grafia incerta, tipica degli anziani.
Aveva parecchi motivi per benedire quel colpo di fortuna. La mattina libera le consentiva di seguire i corsi e di pranzare nel buco che condivideva con altre tre fuorisede, risparmiandosi il costo e la pesantezza di una pizza fritta raccattata al volo per strada. La paga, benché rigorosamente in nero, non era malvagia. L’eroica titolare, una vecchia dagli occhi acquosi determinata a morire nella libreria, era dolce e gentile seppur immersa in un mondo tutto suo, lontanissimo dalla realtà. E i clienti erano rari quanto le rondini d’inverno, così la ragazza poteva starsene tranquilla a preparare gli esami.
Quando udì la melodia dell’acchiappasogni, alzò la testa smettendo di armeggiare con una pila di volumi.