Indipendentemente da come la pensiamo sulla compagine governativa, credo che dovremmo prendere in parola l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri che ha definito il Governo che presiede “di cambiamento”. E’ chiaro che i problemi del Paese sono tanti e tante sono le urgenze a cui bisogna provvedere. Basti pensare al dramma della disoccupazione che colpisce in particolar modo i giovani e soprattutto quelli del Mezzogiorno. La mancanza di un lavoro non è solo la mancanza di un reddito, per quanto modesto. Rappresenta, innanzitutto, la mancata costruzione di una identità . Certamente il lavoro, in tutte le sue manifestazioni, è titolo di appartenenza alla comunità nazionale, alla cittadinanza. Ecco perchè una disoccupazione così elevata costituisce una emergenza sociale e democratica. Conseguenzialmente, nell’ottica, quindi, del contributo che si può e si deve dare come singoli e come Istituzione al bene comune, è giunto il tempo di rilanciare la complessa questione della giustizia fiscale. La nostra Costituzione che non è, come qualcuno ha detto, il libro dei sogni, all’art. 53 recita”tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività ”. Ritengo che questa sia, in uno Stato costituzionale, la norma principe per diminuire l’enorme divario tra ricchi e poveri, e fonte di disperazione sociale, come più volte ha sottolineato Papa Francesco, quando parla dello strapotere della finanza internazionale che è al riparo da qualsiasi serio controllo. E’ noto che, purtroppo, nel nostro Paese l’evasione e l’elusione fiscale è molto elevata. Io credo che questo sia da ascrivere anche e soprattutto ad un certo senso comune che ha da sempre visto il mancato pagamento delle tasse e delle imposte come una violazione minore rispetto ad altre violazioni come, ad esempio, i reati predatori. E pure, anche se con effetto differito, se ci pensiamo, il mancato pagamento di quanto dovuto alla Stato ovvero alla comunità nazionale produce un danno grave. Potrà apparire una banalità, ma se una persona malata non è curata come si deve a causa del fatto che l’ospedale dove è ricoverato non ha i fondi necessari per assistere efficacemente i pazienti e, disgraziatamente, muore, il non aver pagato una determinata tassa o imposta non ha, alla lunga, uno stesso esito drammatico come un reato comune? E quanti di quelli che si lamentano della scarsa presenza delle forze di Polizia sul territorio (sacrosanta richiesta) hanno adempiuto fino in fondo al proprio dovere fiscale? E’ pleonastico ricordare che molto spesso le carenze che si manifestano nella tutela della sicurezza democratica dipendono dal fatto che lo Stato non ha sufficienti risorse da devolvere alle forze dell’ordine (nuove assunzioni, addestramenti, veicoli, pagamenti degli straordinari, rinnovi contrattuali etc.) e questo non facilita, di fatto, anche i reati predatori?
Un vero cittadino può pretendere di avvalersi di un servizio pubblico solo nella misura in cui ha contribuito fino in fondo al sostenimento economico dello stesso. Ovviamente secondo la sua reale capacità reddituale.
Viviamo un’epoca di narcisismo di massa che ci porta a chiedere agli altri e, quindi, anche allo Stato la massima collaborazione, mentre per noi stessi troviamo mille giustificazioni per perdonarci le nostre inadempienze, anche, naturalmente, quelle di carattere fiscale.
Di fatto viviamo una scissione tra i principi della convivenza (quelli espressi dalla Costituzione) e i valori empirici ossessivamente enfatizzati come segni della capacità di affermazione individuale. Questo rappresenta una manifestazione non marginale della crisi che il nostro Paese sta attraversando e, pertanto, bisognerebbe stabilire un rapporto corretto tra le aspirazioni e i comportamenti individuali e quelli sociali.
Anche in questo, il vero dramma è la mancanza di una visione d’insieme del nostro agire quotidiano. Pensiamo scioccamente che il nostro “particulare” possa essere preservato da ogni considerazione di carattere generale e, alla fine, affondiamo tutti.
La cartina di tornasole dell’inversione di tendenza di questa nefasta idea è quella di impostare, tra le prime cose da fare, una è una seria lotta all’evasione fiscale – primo passo, come già detto, verso una diminuzione delle diseguaglianze sociali – e in questo l’attuale Governo, se vuole dare dei segni concreti, deve promuovere una efficace riforma dell’Amministrazione finanziaria che ripartisca in modo chiaro i compiti tra le Agenzie delle Entrate e la Guardia di Finanza evitando, ad esempio, duplicazioni istituzionali e, in modo approfondito, riformare il menzionato Corpo di Polizia rendendolo, così, maggiormente efficace. Inoltre, e non da ultimo, occorre una grande operazione di semplificazione, perchè, come ebbe modo di dichiarare recentemente il Direttore del Censis: “siamo l’unico Paese che per pagare le tasse ha bisogno della mediazione culturale e aritmetica di uno specialista in burocratese, il “commercialista”.
Sono del parere che la riforma dell’Amministrazione finanziaria non deve essere una questione tra addetti ai lavori ma deve, invece, coinvolgere proprio quella parte dell’opinione pubblica che sta vivendo drammaticamente gli effetti della crisi economica, perchè uno dei primi fondamentali passi per uscirne è dare la possibilità allo Stato di recuperare gli ingenti reali redditi sottratti all’imposizione fiscale.
Tutto quanto sopra espresso non trova assolutamente riscontro con il provvedimento governativo che di fatto consiste in un ennesimo condono fiscale. I condoni non fanno altro che incentivare la “furbizia” di chi non onora il proprio comportamento fiscale.
di Vincenzo Vacca
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