L’Unità fu un’occupazione militare e non un’unione politica

Eugenio Scalfari dichiara in un'intervista di Repubblica Tv che l'Unità d'Italia non riuscì a fare gli italiani perché non fu un'unione politica ma una occupazione militare con finalità di saccheggio e sterminio.

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Eugenio Scalfari
Una volta si scrisse che il revisionismo storico è divenuto un fenomeno popolare, di massa, in quanto, per diversi fattori storicamente determinati (di cui in questa sede non potremo discutere), gli storici di professione, comunisti e non, non hanno mai sviluppato un pensiero realmente critico sulla sbiadita Questione Meridionale, ragion per cui ciò che le università e gli istituti di ricerca non hanno riconosciuto per decenni, è divenuto poi patrimonio comune della gente.

Eugenio Scalfari: “l’Unità d’Italia fu un’occupazione piemontese”

Ora Eugenio Scalfari su Repubblica Tv smentisce ciò di cui sopra, definendo l’Unità d’Italia come un’occupazione piemontese e il Risorgimento come un’ideologia coloniale. Certamente un’osservazione del genere, da chi per anni la storia ufficiale (quella piemontese) d’Italia ha contribuito a diffonderla, a farla e a scriverla, non ce la si aspettava.

L’Italia unita dai Borbone sarebbe potuta essere un’Italia migliore  

L’Unità d’Italia “non fu Unità! Fu occupazione piemontese e se l’avesse fatta il Regno di Napoli, che era molto più ricco e potente, sarebbe andata diversamente. La mentalità savoiarda non era italiana, Cavour parlava francese e gli italiani quel nuovo Stato l’hanno detestato”.

Unire l’Europa unendo l’Italia e viceversa; fare gli italiani come si fanno gli europei

Mettendo da parte per un momento la lettura più superficiale delle parole di Scalfari, focalizziamoci ora sul senso più pregnante e l’importanza primaria di queste dichiarazioni e cioè sul fatto storico che  il pensiero unico, quello risorgimentale, sia arrivato finalmente alla sua fase ultima, dove si spacca irrimediabilmente al suo interno e sposta la riflessione sul passato italiano dalle capitali della cultura “sabauda” di Torino, Milano e Roma, a quelle duosiciliane di Napoli e Palermo.

Una nuova egemonia di pensiero sta nascendo e la cosa più importante è che potrebbe portarsi dietro di sé rilevanti conseguenze non solo per l’Italia ma per tutta l’Europa. Scalfari ha suggellato ciò che nel Meridione si studia dagli anni ’90 e cioè che il popolo italiano, quello nato dalla guerra civile contro il nazi-fascismo, continua ad essere fragile perché il Risorgimento e l’Unità d’Italia non ebbero il fine di fare gli italiani ma di massacrare e depauperare i regni preunitari.

L’Unità d’Italia non può avvenire senza prima la costruzione di un popolo

Le esperienze del Biennio rosso, della Rivoluzione fascista, della Repubblica italiana, non sono riuscite a fare gli italiani (vedi M. D’Azeglio), a unire gli italiani in un’unica identità di massa, in un unico popolo, proprio perché queste  esperienze non hanno oltrepassato dialetticamente il Risorgimento, ovvero non hanno riconosciuto la loro discontinuità storica con la conquista piemontese, ma in quest’ultima si sono trovate in continuità. La vera origine delle croniche diversità degli italiani rimane la coercitiva e impolitica Unità d’Italia sotto il segno del massacro e della colonizzazione del Sud.

L’Italia o la sua monarchia furono cose ben diverse dal popolo italiano (che ricordiamo nacque solo con la firma della costituzione del 1948 e non prima) e questa differenza ci aiuta a comprendere come l’unione politica di una massa di individui è cosa ben diversa dalla conquista coercitiva, dall’ingiusto e raffazzonato tentativo di unire con la spada, con l’economia e il diritto, un insieme di regni da secoli indipendenti e sovrani. Ciò che vediamo noi oggi nella crisi dell’Unione europea sotto il segno di un euro tedesco, ha già avuto un precedente storico nel caso dell’Unità d’Italia e ciò dovrebbe ancor di più convincerci sul perché della disunità degli italiani. Entrambe queste esperienze, sia nel caso europeo sia nel caso italiano, non hanno portato a un unico popolo ma a una parvenza di identità, fragile e inattuale, dove esistono diverse individualità, più forti e più deboli, ma non un unico popolo.

Gli italiani sono “diversi” tra loro perché non sono divenuti un popolo

L’intervista a Scalfari è stata motivata da Antonio Gnoli per discutere in generale del nuovo testo di Umberto Eco “Numero Zero”, edito per la Bompiani. Nel momento in cui Scalfari è stato chiamato a rispondere sui motivi per cui gli italiani restano “diversi” tra loro a tanti anni dall’unificazione, ha avuto modo di dare scandalo e mettere in crisi la versione ufficiale che da 150 anni si propina alle giovani menti come a quelle adulte.

L’unificazione piemontese fu una colonizzazione con massacri e saccheggi

Per Eugenio Scalfari il popolo italiano non si riconosce realmente nello status quo perché l’unificazione piemontese dell’Italia è stata una mera occupazione o meglio un’invasione con intenti colonizzatori, la quale ha portato a una statualizzazione, a un’unione giuridica ed economica fondata sullo strategico  e sul barbaro saccheggio e sterminio delle identità, delle soggettività politiche preunitarie.

Capire il passato interpretando il presente per costruire il futuro

Nella nostra attualità e con le parole di Scalfari si potrebbe dire che l’uscita dalla crisi italiana, come l’uscita da quella europea del resto, è da rintracciare, come l’occupazione piemontese insegna, in una concreta unione politica, nella costruzione di un unico soggetto politico, di un unico popolo, piuttosto che in una forzata e coercitiva unione giuridica ed economica. In altre parole sarà possibile fare gli italiani quando, come anche a livello europeo, si capirà che per uscire dalla crisi bisognerà prima di tutto dedicarsi alla costruzione politica di un popolo. Qualsiasi popolo si costruisce a partire da esperienze comuni di lotta, a partire da progetti in base ai quali tutto unisce gli individui e niente li divide.

Le parole di Scalfari sono parole unioniste e non secessioniste

Questo per dire che le parole di Scalfari non devono essere intese come parole di rivalsa nostalgica, ma come un sintomo che esprime più che altro un patrimonio comune di consapevolezza da non sprecare per cause secessioniste, e sulla base del quale edificare esperienze storiche unificatrici di più ampia prospettiva, di più ampio respiro, come in Italia così in Europa.