Recensione dello spettacolo di Valeria Pusceddu al locale Le Muse, a Roma.
di Michele Visconti
Sono a Roma per lo spettacolo di Valeria Pusceddu, un giovane talento sardo della stand up comedy, già con un curriculum di tutto rispetto e con una visibilità a livello nazionale grazie al canale Comedy Central di produzione Sky. La serata si tiene al locale Le Muse: a due passi dalla stazione Termini, dove il cuore della Capitale pulsa più che mai. Le strade sono piene di vita, le vecchie mura trasudano emozioni ed è facile ascoltare musica live nei locali circostanti. Le luci soffuse e gli strumenti musicali stupiscono quei vecchi archi in mattoni rossi che dopo aver conosciuto gli antichi romani, ora stupiscono per il vociare e per il frastuono. Prima c’è la partita Italia-Belgio, Lorenzo (Insigne) apre bene la serata a Valeria, e sfoggia parolacce in inglese che avrà di certo imparato per l’occasione, “gli possino”.
Vedo l’artista prima dello spettacolo, seduta ad un tavolino: indaffarata, con il giubbino di pelle nera e dei pantaloni a pinocchietto scuri, capelli legati a coda di cavallo: precisa e impeccabile come un samurai, sa il fatto suo. Minuta lei, con il viso coperto dalla mascherina, e poco loquace all’apparenza; ma non c’è da fidarsi: i suoi occhi sono carichi e d intensi, già mostrano l’energia che è capace di sprigionare.
Non delude l’attesa, scioglie i capelli e sale sul palco: ora sembra una montagna gigante: una trasformazione formidabile, roba da non credere anche per l’incredibile Hulk. Ha familiarità con le tavole di legno del palco, le divora come fossero grissini.
Valeria parla del fascismo ed anche del femminismo. Ci spiega che il fascismo non è solo cattiva educazione ma qualcosa di più. Se pensassimo al fascismo come una cosa d’altri tempi ci sbaglieremmo di grosso: la gente ha poca memoria ed il bello è che molti pretendono di combatterlo con metodi fascisti.
Coinvolge il pubblico la Pusceddu, tra di loro c’è un tipo, seduto proprio accanto a me: sa tutto lui, è il primo della classe, gli possino anche a lui.
Valeria ci illustra tanti problemi del mondo femminile, come le scomodità del ciclo e dell’uso della pillola, cose che noi uomini non abbiamo ben chiare e che non capiremo mai a pieno, nella migliore della ipotesi conosciamo a stento la loro esistenza. Valeria è una femminista con la spada ben affilata.
Pierpaolo (Pasolini) sarebbe orgoglioso di lei, cosa c’entra Pierpaolo con il monologo di Valeria? C’entra e centra, si palesa all’improvviso nel camerino, lì: in una foto incorniciata, in bianco e nero pronto a colorare una parete candida ed i sogni di una giovane donna.
L’artista sfoggia infine le sue doti canore, chiudendo lo spettacolo suonando l’ukulele ed intonando il testo di una canzone che ha per protagonista un cane di nome Benito. Fino a quel momento io non sapevo cosa fosse un ukulele: ahimè, lo confesso.
Per tutta la serata, e dopo lo spettacolo, mi fa compagnia un tipo alto, rossiccio: uno scandinavo della provincia di Salerno, l’alcol ci ha reso grandi amici. Mi fa:
“E’ stato divertente lo spettacolo di Valeria Pusceddu.”
“Molto.”
“Ma ritorni? Vienimi a trovare io sto sempre qua.”
“Sì, penso di sì.”
Tutto il resto è birra e musica live.