di Vincenzo Credendino
Mario Balotelli, classe 1990. Epoca di cambiamenti, cambia la politica, cambiano le geografie, l’arte, la musica. Mario ci ricorda quelle canzoni, a metà tra il synth degli ’80 ed i “bassi” dei primi anni 90’, ci ricorda quel turbinio impetuoso di suoni.
In principio erano le “cassanate”, poi vennero le “balotellate”: gesti più o meno impulsivi, ai limiti del vivere, che spaccano l’opinione pubblica, che come in un’agone politico, sociale o peggio ancora culinario si schiera pro o contro il fenomeno in questione. L’ultima in ordine cronologico, all’aeroporto di Capodichino, Napoli: il charter che deve trasportare i milanisti della nazionale a casa non può aspettare fino alle 23,15, ma mentre i compagni si avviano verso l’albergo, Balotelli ha fretta di lasciare il loco dove vive la presunta madre di sua figlia (tutto il mondo è paese?), o forse memore dell’ultima sfida con il Napoli, chiede ed ottiene una macchina con autista che lo porta a Roma, dove ha preso un aereo in mattinata.
Adesso facciamo un gioco: provate a sostituire nell’ultimo paragrafo la parola “Antonelli”, “Coda” o “Pincopallino”. Non sembra più così interessante? Giusta osservazione. Perché se è vero com’è vero che il ragazzo non è dolce quanto a gradazione salina (è un tipo difficile), è altrettanto vero che un personaggio, la cui immagine venda così tanto, non si vedeva da tempo in Italia: ecco quindi che anche il suo starnuto diventa pioggia d’oro per il marketing. Balotelli rompe la telecamera (episodio da curriculum per qualsiasi deputato italiano), SuperMario irride l’avversario (mai successo in un campo da calcio vero?), Balo gira per Manchester con il portafoglio gonfio oltre ogni limite (“e allora? Sono ricco.” risponde serafico agli agenti che lo bloccano). Notizie buone per riempire pagine e pagine.
A rigor del vero però, c’è dell’altro: anche un qualsiasi tal de tali uscito da un reality, se scrivesse ai suoi fan dicendo ”io personaggio anticamorra? Questo lo dite voi, io vengo a Napoli per giocare a calcio”, si prenderebbe un “imbecille”, con ogni probabilità anche bipartisan. Anche Raggi, se al termine di una gara si togliesse la maglia e cominciasse a sbattere con veemenza i suoi pettorali in faccia al direttore di gara, prenderebbe 3 sacrosante giornate di squalifica; chiunque verrebbe messo fuori squadra se viene continuamente alle mani con i compagni, a volte anche con l’allenatore.
Eppure, molti lo amano. Il San Paolo, casa del Napoli, un club con una forte identità, lo ha osannato per tutta la partita, Quarto l’ha accolto come uno di loro. Questo suo scappare per farsi rincorrere, il creare la balotellata quando ce n’è bisogno, gli consente di essere sempre sulla cresta dell’onda, in cima all’hit parade. Ed ecco, ci viene alla fine in mente qual è la canzone che tanto ci ricorda Mario: non i Pink Floyd, non gli esordi dei Nirvana ma una giovane Orietta Berti, che cantava soave “Mamma, Ciccio mi tocca!”, salvo strizzare l’occhio a Ciccio appena la mamma si gira.
16 ottobre 2013