Non potendo certo decidere cosa votare al referendum sulla riforma costituzionale in base agli appelli (di parte) dei politici ed a quelli dei vari VIP schierati per il Sì o per il No (che sono sicuro che della riforma non hanno letto nemmeno il titolo), ho fatto quello che dovrebbero fare tutti: leggere con attenzione il testo della riforma.
In questo modo ho voluto raccogliere l’invito dei promotori a ragionare nel merito, cosa che ritengo effettivamente opportuna.
Non è stato facile, non avendo una formazione approfondita di diritto costituzionale; ma vale, d’altronde, per il 99% degli italiani, ergo sono in buona compagnia.
Ho trovato aspetti condivisibili, altri solo parzialmente, altri per nulla. Ed alla fine, fatto un bilancio dei pro e dei contro, ho potuto finalmente prendere una decisione definitiva.
Il ragionamento che ne è uscito è lungo, ma altrimenti non sarebbe un ragionamento.
Gli aspetti che personalmente condivido sono i seguenti.
- Abolizione del CNEL. Non è un giudizio sull’utilità del CNEL, che secondo me permarrebbe, ma sul fatto che ormai è defunto già da un bel po’, soprattutto da quando è stato abolito il rimborso per i partecipanti (e da allora alle sue riunioni non partecipa praticamente più nessuno dei componenti: atteggiamento tipicamente italiano). A questo punto meglio abolirlo.
- Abolizione delle Provincie. In parte già effettuata, era opportuno formalizzarlo anche in Costituzione, dove le Provincie sono ancora presenti.
- Leggi di iniziativa popolare. In Costituzione è previsto che si possano presentare accompagnate da 50.000 firme, ma non c’era un vincolo per il Parlamento a discuterle, e infatti non succede praticamente mai. Giusto prevedere ora questo vincolo, e credo giusto anche innalzare le firme necessarie a 150.000.
Le parti che condivido solo in parte sono invece le seguenti.
- Referendum abrogativi. La Costituzione prevede che il quorum, perché la votazione sia valida, sia il 50% più 1 degli aventi diritto al voto. Con l’attuale livello di astensionismo, praticamente ogni referendum parte già senza quorum. Con la riforma si prevede che il quorum sia legato al numero di elettori delle precedenti elezioni politiche. In parole povere, se a votare alle politiche va il 60% degli elettori, il quorum per il referendum diventa la metà più uno di quel 60%. Il problema è che, perché ciò avvenga, bisogna che il referendum sia presentato con 800.000 firme invece delle 500.000 attuali (in caso contrario resta il quorum attuale). In sostanza, sarà più facile per i promotori vincere il referendum, ma molto più difficile presentarlo. Avrei preferito che il numero di firme restassero le stesse di prima. Così com’è, cambia poco o nulla.
- Senatori a vita. Vengono aboliti, e sostituiti con senatori, sempre di nomina da parte del Presidente della Repubblica, che però durano in carica solo 7 anni. Cambia poco anche qui, considerando che, in massima parte, parliamo di persone molto anziane, per cui era francamente meglio abolire queste figure in toto.
E arriviamo agli aspetti della riforma che non condivido.
- Referendum propositivi. Per molti sarà una questione irrilevante. Per me, in questa fase storica, no. Ho il terrore ad interpellare gli italiani, in questo periodo e temo anche in futuro, su alcuni temi. Ad esempio l’immigrazione. In più, ci vedo il rischio che il referendum propositivo divenga un’arma per dare una copertura “popolare” a posizioni e proposte populiste, che attualmente non mancano, ahinoi. Li avrei lasciati francamente alla Svizzera (dove pure questa deriva populista è sempre più visibile, basti pensare alla vittoria del referendum propositivo contro i lavoratori italiani in Svizzera).
- Riforma del Senato. La nota più dolente. Mi ci sono soffermato il più possibile. Alla fine mi sono reso conto che il nuovo Senato, così come uscirebbe dalla riforma, non mi piace affatto. Meglio abolirlo del tutto (ma poi facendo una legge elettorale proporzionale alla Camera) o lasciarlo com’è ora. In più ci sono due cose, leggendo il testo della riforma, che mi sono risultate diverse da quello che dicono i fautori del Sì. La prima è che il Senato può ancora chiedere di esaminare le leggi approvate alla Camera, ergo il bicameralismo perfetto non viene eliminato ma semmai attenuato. La seconda è sui costi. Fa sempre bene risparmiare qualche milione di euro di indennità ai senatori ma, sicuramente, per quello che riguarderà le spese di viaggi e soggiorni dei neo senatori, che dovranno spostarsi spesso dalle istituzioni locali a cui appartengono fino a Roma, nessuno può immaginarsi che lo faranno gratis. Ergo è solo uno spostamento delle spese dal nazionale al locale; in più, credo, con un aumento complessivo di queste spese. Restano poi inalterate le spese (quelle più cospicue) per il mantenimento della macchina e della struttura del Senato. In definitiva, questa parte della riforma, personalmente, la respingo.
- Titolo V. Riguarda i rapporti tra Stato e Regioni. Qui è stato ancora più difficile capirci qualcosa. Non tanto per la mia ignoranza, ma per com’è scritta. Molto male, a mio avviso. Mi ha fatto pensare che, probabilmente, anche il 99% di chi l’ha scritta è inesperto di diritto costituzionale quanto me. Quello che ne emerge, alla fine, è una volontà di riportare in capo allo Stato centrale alcune competenze che al momento sono regionali o concorrenti. In linea di massima è anche la mia linea preferenziale. Il problema è, invece, che le competenze in capo allo Stato sarebbero proprio in quei versanti, quali ad esempio infrastrutture ed energia, in cui sarebbe opportuno che le istituzioni locali avessero ancora voce in capitolo. Se si vuole costruire una centrale atomica in un luogo, i cittadini ed i loro rappresentanti dovrebbero potersi esprimere. Soprattutto sapendo bene come funziona in Italia in questi settori, e quali e quanti interessi ci sono dietro. In definitiva mi ha dato l’impressione di un sistema simile a quello cinese: comunista sulla carta, iperliberista nella pratica. Diciamo che il mio è un Nì, con leggera prevalenza per il No.
Avessimo potuto votare sui singoli punti, o almeno per blocchi tematici, avrei certamente differenziato il mio voto in base alle considerazioni precedenti. Ma purtroppo non sarà possibile.
Dovendo fare, dunque, un bilancio qualitativo dei pro e dei contro, non posso che decidere di votare No. Proprio perché, finalmente, ho fatto un ragionamento sul merito della riforma e non sulle simpatie per chi propone il Sì o il No, che, soprattutto per l’importanza di questa riforma, lasciano il tempo che trovano.
Ognuno, poi, potrà farsi il suo ragionamento e il suo bilancio. Ben venga se fosse diverso dal mio. L’importante, però, è farlo dopo averla letta questa riforma.
Un ultimo inciso proprio sul termine “riforma”. Significa modificare qualcosa di attualmente esistente, dargli appunto “nuova forma”. Da anni, invece, qualcuno vuol farlo passare come sinonimo di “miglioramento”, a prescindere dai suoi contenuti.
Con questo modo di pensare, considerando che il leader politico che più ha riformato (ossia modificato) questo Paese è stato certamente Benito Mussolini, se riformare significa migliorare di default, allora dovremmo considerarlo il più grande statista che questo Paese abbia avuto. E, almeno su questo spero concorderete, non direi proprio che sia il caso.
Bio Marco Ehlardo
Marco Ehlardo (Napoli, 4 febbraio 1969), è uno scrittore, autore ed operatore sociale esperto di migrazioni, asilo e terzo settore. Ad ottobre 2014 è uscito per la Edizioni Spartaco il suo primo libro “Terzo settore in fondo: cronistoria semiseria di un operatore sociale precario”, atto di denuncia, in forma di romanzo/saggio ironico, di una parte del mondo dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, attraverso le avventure di un operatore sociale precario, Mauro Eliah. Il 30 giugno 2016 è uscito il seguito, sempre per la Edizioni Spartaco, intitolato “Fratello John, sorella Mary – Le nuove avventure semiserie dell’operatore sociale Mauro Eliah”.